Per tutti a Cazzago era “Ul Presidènt”, ancora un capo, alla testa di quella Cooperativa pescatori che un tempo governava l’attività sul lago, con la vecchia sede a Calcinate, centro di smistamento di persici e anguille.
ha sempre pescato, il “barchèt” l’aveva ben custodito nel “darsenun” poco distante dal baretto del porticciolo. Arrivava dal sentierino che da casa porta alla riva, alzava la grata di ferro comandata dal motorino elettrico e usciva “a mett giò”, a buttare le reti dove da decenni le gettava, perché ogni pescatore ha i suoi spicchi d’acqua, la “riserva personale” che i colleghi conoscono e rispettano.
Burbero, di poche parole, la sua uscita a lago era spesso preceduta da borbottii che, appena lo si avvicinava, si trasformavano in critiche allo stato dell’acqua, alla fioritura abnorme delle alghe, al livello del lago tenuto troppo basso alla chiusa di Bardello, colpevole di interrare le darsene e affossare le barche.
Solo otto anni fa pubblicammo un libro, “Il lago perduto”, con i ritratti degli ultimi nove pescatori professionisti delle nostre acque e le fotografie a raccontare la loro giornata, uguale e dura da trenta, quarant’anni. Già due di loro se ne sono andati, prima il di Bodio, ora “ul presidènt”, gli altri, non tutti, continuano a uscire con il caldo torrido d’agosto e il morso del gennaio, perché, come ha più volte ripetuto il “Negus” : «La nostra vita finirà pescando».
Di politica il Natale parlava poco, «g’ha pensan già i mè fioeu», preferiva lamentare la decadenza del lago, la scomparsa del pesce nobile, la scarsa attenzione delle istituzioni locali al problema costante dell’inquinamento, per il quale si sono spesi invano miliardi.
Ma cambiava espressione dopo i primi colpi di remo, la schiena un po’ curva e la testa sempre in rotazione, per cogliere il vento e probabilmente il moto subacqueo dei pesci, scovati dai pescatori come fa il rabdomante con le sorgenti. Andava oltre il pizzo di Cazzago verso Bodio, ma si capiva che il suo mondo rimaneva il piccolo golfo del paese, proprio davanti al “darsenun”, dove in estate il tappeto di castagne d’acqua «infesciava» e non gli dava la possibilità di insidiare i boccaloni e i persici che giravano da quelle parti. All’uscita un rapido «salute», il ricovero del “barchèt” in darsena, il sentiero rifatto all’indietro, verso casa, e la pulizia dei pochi pesci di qualità rimasti impigliati nel “tremag”. Vita di pescatore, coerente e spartana, com’era l’uomo.
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