«Da piccolo mi dicevano “vai Pantani”. Se penso a Varese, penso a Ivan Basso»

Alberto Contador: «La salita più dura della mia vita è lo Zoncolan. Italiani e varesini, vi sento con me . Le vittorie revocate? Tutto il mondo le ha viste e sa che sono mie. Il ciclismo ti dà libertà e umanità»

– «Ho una filosofia nella vita: quello che deve accadere, accade sempre». Alberto Contador è istinto, natura, montagna, pazzia e coraggio. Quello che deve accadere, accade sempre, ha detto, a maggior ragione perché lui ha sempre avuto la rabbia e la volontà di andarsi a conquistare ogni suo successo, sulle sue salite ed in sella alla sua bicicletta.
Ha vinto tanto Alberto, è caduto spesso, è stato oggetto di critiche feroci ma ha sempre avuto la forza di rialzarsi e di riprendere a vincere e ad emozionare chiunque lo guardasse pedalare.

Alberto è quel corridore capace di lasciarti con la bocca aperta e le lacrime agli occhi mentre scala il Mortirolo al Giro 2015, mentre supera ad uno ad uno tutti i corridori sul suo cammino, quanto di più vicino ci possa essere al Pantani di Oropa.
Contador ha l’istinto del Pirata e la metodica di Ivan Basso, è il prototipo dell’eleganza quando si alza sui pedali. È stato capace di vincere una Vuelta attaccando in pianura quando nessuno se lo aspettava, quando tutti lo davano per spacciato. «Quello che deve accadere, accade sempre». Lo ha detto lui. È un fenomeno delle due ruote che ama l’Italia e viene anche ricambiato, ha vinto tutto e ancora non è sazio. Quando sei un fuoriclasse, di vincere non ti stanchi mai. 33 anni, madrileno, il “Conta” ha nel suo palmares tre Giri d’Italia (uno revocato), due Tour de France e tre Vuelta a España (una revocata).
Alberto Contador oggi è protagonista anche sul nostro giornale, con un’intervista esclusiva proposta dal nostro direttore per un giorno Ivan Basso, che nella sua ultima stagione da corridore è stato il suo compagno di stanza al Giro, al Tour de France ed in tante altre gare. El Pistolero ama l’Italia, come detto, ma ancora di più ama la provincia di Varese, perché spesso si allena sulle nostre strade, abitando qui vicino a noi, a Lugano, appena oltre il confine. Averlo qui, sulle nostre pagine, è un onore ed un privilegio.
E in questa intervista lo spagnolo si racconta, viaggiando tra ambizioni, ricordi e filosofie, prima che la nuova stagione ciclistica entri davvero nel vivo. Anche se lui, in questo 2016, ha già vinto una tappa in Portogallo alla Volta Algarve con il suo amico Ivan Basso in ammiraglia. Come? Un successo dei suoi: in salita, da solo, lasciandosi dietro tutti gli altri, Fabio Aru in primis. Si dice spesso che chi ben comincia, è già a metà dell’opera, e questo 2016 per il Pistolero di Madrid è iniziato sotto una buona stella. A voi, Alberto Contador.

La doppietta Giro-Tour è stato un grande obiettivo del 2015, che purtroppo non sono riuscito a conseguire. Il programma di quest’anno, il 2016, è differente, soprattutto perché ho deciso di concentrarmi sul Tour de France, che diventerà a tutti gli effetti il grande obiettivo della mia stagione. Allo stesso modo però continuo a pensare che, se si dovessero realizzare tutte le condizioni necessarie, sarebbe comunque possibile riuscire a vincere Giro e Tour nello stesso anno. Ci credo ancora.

Ho sempre avuto lo stesso pensiero di Ivan, però se devo evidenziare un momento particolare della mia carriera, più di qualsiasi altro, mi piace ricordare la vittoria della tappa regina del Tour Down Under, che riuscii a raggiungere dopo la mia malattia. Questa è stata, è e continua ad essere sempre la più importante.

L’unica cosa che mi sento di dire è che tutto il mondo ha visto quelle corse, quelle gare, e per questo motivo credo che tutti sappiano chi è stato il vero vincitore. Io continuo a pensare che quelle vittorie siano mie.

È vero, assolutamente. Il Pirata è sempre stato uno dei miei riferimenti come corridore. Anche perché, a maggior ragione, quando ero piccolo tutti mi soprannominavano Pantani perché vincevo sempre nelle tappe di montagna, quelle più dure.

Ivan per me è un grande amico e tra di noi c’è un bellissimo rapporto. Una relazione di stima ed amicizia che è nata quando abbiamo condiviso le nostre esperienze di corridori, ancor prima di diventare compagni di squadra, e che continua chiaramente anche adesso che lui occupa un incarico tecnico nello staff della squadra.

Non posso che pensare Ivan Basso.

Sono stati due, a dire il vero, e mi riferisco ad Andy Schleck e a Chris Froome.

In assoluto lo Zoncolan, più di qualunque altra. Nessun dubbio.

Perché è uno sport salutare, che ti fa sentire sulla pelle la libertà di percorrere luoghi bellissimi. Inoltre, il ciclismo ti forma come persona e ti consolida dei valori che difficilmente si possono incontrare in altre attività.

Un abbraccio a tutti e davvero grazie per il vostro appoggio, perché quando corro in Italia, dovunque sia, mi sento sempre come a casa. Grazie tante a voi!