Ferno – Sembra di averli lì davanti, quei cinque volti illuminati dal «cerino partigiano» acceso nella cascina dove erano nascosti, il 5 gennaio di 67 anni fa, mentre attorno c’era la neve. «Candida – avrebbe ricordato l’omelia ai loro funerali ufficiali che si poterono celebrare solo nel giugno del 1945 – come la vostra anima di patrioti».
Sembra di sentire i loro passi, vedere il loro ultimo saluto ai parenti, sentire le loro grida mentre la rappresaglia fascista li uccide, quei cinque ragazzi di Ferno e Samarate (e uno originario di Noto, in Sicilia) passati alla storia come “i cinque martiri”: Silvano Fantin, Nino Locarno, Claudio Magnoli, Dante Pozzi, Paolo Salemi.
Si concretizzano nella loro storia, e nella storia dei loro amici della Prima Brigata Lombarda, che ieri mattina nella sala consiliare di Ferno, alla commemorazione ufficiale, racconta un giovane come erano loro. Un giovane di oggi: lo scrittore Alessandro Mari. E la storia diventa vicina. E la storia commuove.
Avevano tra i 17 e i 28 anni. Ed «erano ragazzi coraggiosi – è l’esordio di Mari, invitato come oratore dall’Anpi -, di quell’incoscienza di cui è fatto il coraggio quando la storia chiama. Sono “nostri” ragazzi, “nostri” perché di tutti, perché hanno immaginato prima di noi questa Italia che noi abitiamo». Invita a vedere, a sentire, ad annusare ciò che loro hanno visto, sentito, annusato. E senza lasciare spazio ad alcuna retorica coinvolge le 150 persone raccolte nella sala in un racconto vero che non va perso.
Accanto a lui i sindaci di Ferno Mauro Cerutti e di Samarate Leonardo Tarantino, l’assessore fernese alla Cultura Filippo Gesualdi, il sindaco del consiglio comunale dei ragazzi di Ferno Matteo Catania. Seduti, i ragazzi delle V elementari fernesi, che prima dell’intervento di Mari hanno raccontato la storia del cinque martiri unendola ai loro disegni, e cantato “Bella ciao” diretti dalla loro compagna Giorgia Sasso.
In prima fila ci sono anche Carla Locarno, sorella di Nino e presidente onorario dell’Anpi di Samarate e Verghera, Angelo Chiesa, presidente dell’Anpi provinciale di Varese, Enrico Mazzetti, ultimo partigiano oggi rimasto della Prima Brigata Lombarda, ma anche il figlio di Antonio Jelmini, detto Fagno, “comandante” della Brigata, Edoardo, e poco dietro il nipote di Claudio Magnoli, Luciano. E moltissima gente, esponenti dell’Anpi e di varie associazioni e cittadini “comuni”. Che non vogliono e non possono dimenticare la storia di quei cinque ragazzi uccisi dai fascisti,
poi buttati in una fossa comune, e alla cui morte i compagni scrissero parole in loro ricordo e in anelito di libertà con il gesso su di un muro. «Non so – ha concluso Mari – se quel muro esiste. Ma resta il sentimento ispiratore di quelle parole perché siamo qui a ricordare ancora. A ricordare quei ragazzi, i loro ideali, tenendoli ancora con noi e mettendoli al sicuro».
Gli ideali di democrazia. Gli ideali di libertà.
Sara Magnoli
p.rossetti
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