«La differenza di valori è sostanziale, perché Milano è davvero uno squadrone, però ogni partita fa storia a sé e quando sul campo una squadra è capace di gasarsi può succedere di tutto».
Le parole di Massimo Lucarelli, ex della grande Ignis, inquadrano al meglio la peculiarità della sfida di questa sera fra Openjobmetis ed Emporio Armani. Confronto impari, se ci si limitasse a paragonare ampiezza dei roster e pezzi da novanta.
Ma un derby, più di qualunque altro scontro, ha regole tutte sue. Può seguire l’onda delle emozioni e andare contro la corrente della logica, soprattutto quando a fare da cornice ci sarà, come stasera, un’arena strapiena e infuocata come il PalaWhirlpool.
«Varese-Milano è una sfida di enorme fascino, soprattutto per me, che fin da ragazzino simpatizzavo per la Ignis, in un ambiente in cui era invece prevalente il tifo per l’Olimpia», racconta Lucarelli, nato ad Ancona ma legato indissolubilmente alla Città Giardino da quel triennio glorioso vissuto a Masnago fra il 1972 e il 1975.
Il passato e il presente si mescolano nell’analisi del grande ex, dispiaciuto innanzitutto per le tante occasioni sprecate dalla squadra di Pozzecco in questo avvio di campionato.
«Un vero peccato la serie di quattro sconfitte arrivate dopo l’ottima partenza. Incredibile come, dalla gara con Reggio Emilia fino a quella con Roma, la Openjobmetis non sia riuscita a chiudere le partite, pur avendo a disposizione vantaggi ampi come quel +19 toccato domenica scorsa, vero e proprio patrimonio che doveva assolutamente essere gestito in un’altra maniera. In quelle situazioni bisogna essere in grado di rallentare i ritmi e cercare canestri facili».
Il fisico che prevale sulla tecnica: questo uno dei mali della pallacanestro di oggi.
«Una volta difendevamo molto meglio e sprecavamo molto meno», sottolinea Lucarelli.
E in allenamento si ripetevano i movimenti allo sfinimento, per sapere sempre cosa fare in partita: «Con allenatori come Nikolic e Gamba era proprio così. E dopo tanto lavoro il risultato si vedeva eccome: tutto veniva pressoché naturale».
Il basket come sport di squadra più intelligente di tutti, pilotato in campo da una luce chiamata playmaker. «Aldo Ossola era un regista capace di far apparire tutto facile», afferma Lucarelli, che proprio nelle qualità del play individua la chiave per uscire dalla situazione di stallo in cui Varese si trova quando si spegne la bocca di fuoco chiamata Kuba Diawara.
«Lo stesso Ossola e Pozzecco – ricorda Max – sapevano mandare a canestro chiunque, cercando con insistenza fino a esaltarli anche quei giocatori che apparivano fuori partita». Esattamente quello che servirebbe oggi per riportare Ed Daniel al centro, in tutti i sensi, del progetto Varese: «Carattere e concentrazione non te li può regalare nessuno. Ma è possibile galvanizzare qualunque giocatore spiegandogli semplicemente che cosa ci si aspetta da lui».
Non facile rimettersi in moto proprio in una partita come il derby in cui, se a contare fossero solo i soldi, non ci potrebbe essere gara. «Ma io spero che Varese vinca, soprattutto per il Poz. Ben vengano allenatori come lui, Recalcati, Sacchetti e Dell’Agnello, che in carriera sono stati innanzitutto grandi giocatori, cresciuti a loro volta seguendo i consigli di grandi maestri: avere Pozzecco con noi è una fortuna e io sono convinto che, di partita in partita, saprà migliorare insieme alla sua squadra».
E il modo per riuscirci è semplice: «Basta che sappia spiegare ai suoi giocatori ciò che era lui a fare in campo, quando si trovava al loro posto», conclude Massimo Lucarelli.