Il Varese è qualcosa di unico in Italia

L’editoriale di Filippo Brusa

Continuamente lo sport subisce evoluzioni – a volte anche epocali – e spesso capita che non si trovi il modo di gestire le trasformazioni in atto. Parlando di calcio non ci basterebbe un numero intero del giornale per tentare di analizzare tutte le storture in atto da decenni. Denunciate per altro da chi ha avuto la forza e il coraggio di indagare a fondo «il fango del dio pallone», come avrebbe potuto dire Carlo Petrini, ex calciatore del Varese e scrittore coraggioso nell’ultima parte della sua vita, finita a Lucca il 16 aprile del 2012.

Gli squilibri e le anomalie coinvolgono comunque anche gli altri sport e la pallacanestro non ne è immune: la serializzazione del gioco e l’omologazione spersonalizzata di quelle squadre le cui società entrano nel vortici di continui cambiamenti sono dati di fatto ormai sotto gli occhi di tutti. Molti allenatori di basket italiani sono costretti, dalle circostanze, a rinunciare alla paziente costruzione dei giocatori e del gioco delle loro squadre, riempite, per comodità e convenienza, di mediocri giocatori stranieri e con sempre meno ragazzi del vivaio. Nel campionato italiano di Serie A è evidente l’abisso tra chi vive alla giornata e le rarissime società che hanno una visione precisa del futuro e un progetto in testa.

Il preambolo cestistico non è ozioso, anzi, serve a inquadrare la questione, sia pure calcistica. Perché il Varese è rinato in Eccellenza, animato da un serie di «Visioni reali» sul proprio avvenire. Quelle studiate dai tre rifondatori – Gabriele Ciavarrella, Piero Galparoli ed Enzo Rosa – che a fine luglio, grazie alla spinta del sindaco Attilio Fontana e soprattutto a quella dei tifosi, pronti a prodigarsi in una colletta generosa e unica nel suo genere, hanno rifondato il club,

pensando subito in grande. Nel giro di tre mesi è nata l’associazione dei tifosi, un consorzio di sponsor e una cooperativa per coltivare le risorse del Varese. La notizia ha rilevanza nazionale perché la società ha già inaugurato un nuovo modo di intendere il calcio, con le modalità appena ricordate, e ha reso il Franco Ossola il salotto buono della città, dove ieri squadra di casa e ospiti sono stati applauditi da tutto (proprio tutto) lo stadio, senza divisioni.

Il vero pensiero di Ciavarrella, Galparoli e Rosa sembra un’utopia racchiusa in questa frase impegnativa: «Insieme per cambiare il mondo dello sport». Ma come è possibile farlo? Non si tratta solo di un efficace slogan pubblicitario? Incalzando con queste domande i dirigenti del Varese, si ha una risposta più che convincente perché è legata a un fatto realmente accaduto. A volerlo condividere con tutti è Galparoli che non ha nessuna reticenza: «In estate è capitato di trovarci in riunione con il nostro staff e con un procuratore che ci aveva chiesto soldi per dei ragazzi cresciuti nella vecchia società. Voleva una cifra per farli restare in biancorosso. Sapete che cosa è successo? Il nostro presidente Ciavarrella si è alzato esclamando: “Io non ci sto”. E se n’è andato. Siamo usciti tutti dalla sala e uno dei ragazzini era dispiaciuto, quasi piangeva e non sapeva che cosa fare. Gli abbiamo detto: “Se fai una scelta ancorata al denaro non puoi rientrare nel nostro progetto”. Adesso è una delle nostre rivelazioni ed è diventato titolare». Insomma, a Varese si fa sul serio, puntando su ragazzi bravi calcisticamente ma soprattutto maiuscoli dal punto di vista umano. I valori vengono prima di tutto e la squadra di Giuliano Melosi è forte proprio in questo. Per fare la differenza davvero nel calcio che conta è fondamentale quindi il progetto e quello biancorosso, per ora, non ha eguali in Italia ma è una primizia di cui andare orgogliosi.