Era un’artista Felicita, una ragazza irrequieta, che scriveva poesie piene di passione e si ribellava alle rigide regole del collegio tanto da fuggirne. Leggeva i romanzi storici del suo tempo, il “Marco Visconti” del Grossi, “Margherita Pusterla” del Cantù e il rivoluzionario capolavoro manzoniano, che sicuramente lasciò in lei una traccia profonda.
Aveva un animo capace di vibrare e raccogliere gli stimoli patriottici del ’48, filtrati poi attraverso la lettura del “Crepuscolo”, il foglio di Carlo Tenca cui collaboravano Cesare Correnti e i fratelli Visconti-Venosta, Emilio e Giovanni, autore quest’ultimo di quei “Ricordi di gioventù” superbo affresco del nostro Risorgimento.
Venerdì 28 febbraio alle 20.45, nella sala consiliare del comune di Venegono superiore, l’associazione “Luogo eventuale” organizzerà un’“Intervista postuma” a Felicita Morandi, con la presentazione di Roberto Fassi, dirigente scolastico, e le voci dell’attrice Carla Bernardini e della giornalista Erica Stevenazzi, impegnate a far rivivere la figura dell’educatrice varesina anche attraverso brani dei suoi numerosi scritti. A far da corollario, le musiche scelte da Claudio Ricordi e interpretate da Lucilla Incarbone.
Una donna del suo tempo, Felicita Morandi, nata poetessa e diventata educatrice, costretta a «condurre vita monastica» per essere d’esempio alle ragazze dell’Orfanotrofio della Stella di Milano, le “Stelline” che grazie ai suoi insegnamenti diventeranno maestre, artigiane e operaie. Felicita Morandi era nata a Varese nel 1827, anno delle morte di Beethoven, in una casa di via Albuzzi, da una famiglia benestante che mal tollerava il carattere esuberante della bambina, tanto da mandarla a otto anni al Collegio Bianconi di Monza per avviarla allo studio e al lavoro.
Lo spirito battagliero di Felicita e la sua voglia di riscatto l’accompagnarono sempre, anche nei suoi insegnamenti e nelle capacità organizzative, che oggi chiameremmo manageriali. Erano i tempi delle educatrici della penna, come Anna Vertua-Gentile, autrice di un seguitissimo “Come devo comportarmi”, o di scrittrici come Neera, pupilla di Croce e tra le prime a denunciare i disagi della condizione femminile nel romanzo verista “Teresa”.
Morì in povertà Felicita, dopo una vita dedicata agli altri e i formidabili tentativi per migliorare l’esistenza di molti infelici a Milano e a Roma, le tolsero la pensione ma non l’affetto di molti riconoscenti.
E le parole che scrisse nel volume “Mediolanum”, pubblicato in occasione della grande esposizione internazionale di Milano del 1881, descrivendo i “Tipi di donne illustri milanesi”, valgono quasi come un epitaffio a se stessa: «Confidiamo che questi pochi cenni valgano come richiamo a reverente omaggio verso le anime sublimi in cui la femminea soavità de’ sentimenti fu congiunta a senno e coraggio virile».
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