«Noi oggi festeggeremo i quarant’anni del nostro scudetto con maggiore intensità emotiva, sentimentale e culturale degli juventini che hanno festeggiato ieri il loro quinto scudetto consecutivo. A parte che il Torno è arrivato molto prima di loro a vincere cinque scudetti di fila. E non eravamo sazi. Il perché il Toro si è fermato lo sanno tutti».
Parole piene di pathos e di orgoglio. Quasi una requisitoria quella del conosciutissimo giornalista Gianpaolo Ormezzano, che ha sempre manifestato la sua passione per il Torino.
Non si è mai trincerato dietro il “politicamente corretto” pur non venendo meno alla sua professionalità. E’ stato direttore di Tuttosport ed ora è opinionista a Novantesimo Minuto, sempre con sua competenza e la sua verve. «Sì – rivela – questo impegno con la televisione mi ha fatto perdere quest’anno tante partite del Torino allo stadio».
Il Toro, «una passione che mi ha trasmesso mio padre e che io ho inoculato nei mie figli maschi ed ora ho anche quattro nipoti maschi tutti tifosi del Torino». Quei colori per Ormezzano hanno superato da decenni il perimetro del rettangolo di gioco diventando letteratura. «Sono stati scritti un’infinità di libri sul Torino; c’è una letteratura vastissima su Meroni e su Superga. Una produzione cartacea immensa. Meroni e Superga Sono diventati anche opere teatrali. Quali altre squadre in Italia possono dire o vantare una produzione culturale così intensa? Al massimo a Roma possono scrivere un libro sulle barzellette di Totti. Il perché di tanta attenzione non lo so e se anche lo sapessi non lo verrei a dire».
Se si escludono i “gobbi”, in fondo un po’ tutti sono vicini al Toro. La tragedia di Superga ha segnato tutti. Per Ormezzano, fra i bianconeri c’è stata e c’è tuttora qualche eccellente eccezione:«Guardi, ho avuto ed ho due grandi amici: Gianni Agnelli e Giampiero Boniperti. Con lui abbiamo parlato tante volte del Grande Torino».
Giocava al Filadelfia, che dovrebbe rivedere la luce a breve. «Ma la vedo troppo liscia e non mi convince – commenta Ormezzano – e poi non ne vedo il bisogno. Facciamone invece un parco con la casa del tifoso e il museo delle memoria. Quando al Torino arrivò Cimminelli, mezzo lucano e mezzo calabrese, ma tutto juventino, voleva ricostruire il Filadelfia ed io lo sostenni. Venni minacciato dagli ultrà perché loro volevano che Cimminelli comprasse Anelka e del Filadelfia non gliene importava nulla. Adesso magari sono quelli che lo vogliono. Comunque, quando venne abbattuto, perché c’era l’amianto, insistetti perché venisse salvata la biglietteria e questo avvenne perché mio fratello era il Sovrintende alle Belle Arti. Sopra quella biglietteria vi era una scritta “Popolari, Militari e Balilla”. Nonostante siano passati decenni, quella scritta non è mai stata usurata dal tempo. E’ ancora lì bianca sui mattoni rossi». E’ l’intensità emotiva di una maglia e di una storia che il tempo non riesce a scolorire. E’ il miracolo di “quelli là”. Quelli di Superga.