Dà una possibilità a chi partecipò all’omicidio di sua figlia. Qualcuno lo chiama pazzo. Noi lo chiamiamo padre. Perché abbiamo ascoltato le sue ragioni. Che Silvio Pezzotta fosse un uomo al cui cospetto è difficile stare è apparso chiaro sin dal processo per i delitti delle Bestie di Satana.
Mariangela, la sua Mary, fu l’ultima delle loro vittime. Quella morte portò alla scoperta di altri tre delitti: due omicidi e un’induzione al suicidio. I cronisti che seguirono quel processo associarono il nome di Silvio Pezzotta alla parola dignità.
Ancora oggi, a ripensarci, dopo aver parlato con lui, ci si ritrova con un sasso in gola che non va né su né giù. Ma non è dispiacere, è stima. Pezzotta fu presente a tutte le udienze tranne una: quella in cui mostrarono le fotografie scattate alla figlia morta. Esigenze d’istruttoria, ovviamente, lui voleva giustizia ma la sua Mary così non riuscì mai a guardarla. Perché? Perché l’ultimo ricordo che Pezzotta ha della figlia tratteggia Mariangela che sorridendo gli dice “ci vediamo questa sera, papà”. E oggi lui spiega: «E’ per non sciupare quel sorriso che non ho mai più voluto vederla». Un padre, appunto. Un padre che dà però un’occasione a Elisabetta Ballarin, la nuova ragazza di Andrea Volpe che con Nicola Sapone uccise Mariangela. Elisabetta era lì, lo chalet di Golasecca dove l’omicidio si consumò era della famiglia Ballarin. Pezzotta viene in soccorso a chi non comprende ricordando quando la vide per la prima volta al momento dell’arresto: «Aveva il volto pieno di paura. Al suo posto poteva esserci Mariangela. Ma lei era lì e Mariangela era morta. E chissà forse proprio la sua morte aveva evitato quella di Elisabetta». Ma questo non basta certo a spiegare l’occasione concessa. Una vita per una vita non vale se la vita spezzata è quella di tua figlia. Ed è a questo punto che diventa ancora più difficile stare al cospetto di Pezzotta, uno che guarda tutti negli occhi. Perché lui ti spiega che «l’occasione è un gesto di coerenza nei confronti del modo di essere di Mary». In che senso? E Pezzotta, con quel suo essere gigante senza saperlo ti racconta che Mariangela era più forte di Elisabetta. Da quella storia malata con Volpe (malata per la presenza di Volpe) ne era uscita da sola. Mary non si è mai “bucata”, non s’è mai fatta tagliare, plagiare. Mary, la sua Mary, è morta libera. «Lei mi disse: ne sono fuori, ma dobbiamo cercare di aiutarlo». Mariangela lo disse al padre, lo disse alla sua famiglia. «E io oggi faccio lo stesso», dice Pezzotta. «Rispetto il modo di essere di mia figlia. Io penso che lei avrebbe fatto così. Io penso che dando una possibilità a Elisabetta, rispetto la volontà, il modo di essere di mia figlia».
Elisabetta che oggi è una persona completamente diversa. E Pezzotta lo sa perfettamente. Non s’è fidato d’istinto: ha guardato negli occhi anche lei. E ha capito. «Io credo che oggi un ragazzo che ha un problema debba rivolgersi alla sua famiglia. Mia figlia ha fatto così. Io voglio che Elisabetta sappia che qui avrà qualcuno che potrà darle una mano in modo del tutto disinteressato. Perché possa avere la vita che Mariangela non ha potuto vivere».
E alla fine quando Pezzotta ti spiega che «non c’è perdono, è questione di dare un senso alle cose», tu da avvocato del diavolo (ma sei pazzo?) diventi meschino. Perché quell’occasione a Elisabetta per Pezzotta è una questione di fedeltà alla figlia. Un fatto di coerenza. Il perfetto gesto d’amore di un padre.