– «Un’impresa possibile»: ovvero, un’altra impresa è possibile. All’università Cattaneo si ragiona su come sfidare la crisi, partendo dal «manuale» del varesino Massimo Folador, imprenditore e consulente, direttore dell’unità di studi sull’etica della Liuc.
“Un’impresa possibile. Persone e aziende che costruiscono il futuro”, l’ultimo libro di Folador, da cui è partito un dibattito non convenzionale sulla situazione economica attuale e sulle ricette per tornare a crescere, moderato dal giornalista del Corriere della Sera Claudio Del Frate.
“Ora et labora”, dicevano i monaci benedettini, che Massimo Folador ha studiato per tanti anni. «Chi lavora deve produrre azioni e non esiste azione se non deriva da un pensiero – spiega il direttore – se le azioni hanno generato frutti “immaturi” evidentemente i pensieri che ne stavano alla base erano scarsi, o sbagliati».
C’è da porsi il problema, perché, per l’autore, «la crisi è un bivio, che può nascondere strade negative ma anche percorsi diversi.
Può essere un’opportunità intrigante di cercare una strada». E una risposta, nel libro, è la «comunità organizzata» sul modello introdotto da Adriano Olivetti, dove «la generosità è la chiave di lettura per creare relazioni». E dove il «bene comune è un criterio di scelta».
L’impresa possibile, secondo Francesco Varanini, direttore della rivista Persone&Conoscenze, «è un’impresa in cui si fa impresa, non una foglia di fico per coprire le speculazioni finanziarie, in cui al primo posto c’è il mero profitto da garantire agli investitori».
Sembra un tabù, nel mondo di oggi, ma in realtà è quello che quotidianamente fanno tantissimi piccoli imprenditori del nostro tessuto produttivo.
Un piccolo imprenditore presente nel pubblico, Marco Zanchi, ammette candidamente: «L’azienda deve produrre ricchezza, ma a fare la differenza è la scelta se mettere al primo posto la massimizzazione del profitto o l’ottimizzazione del bene sociale».
Reddito o felicità, benessere o ben-avere? Questa è la vera sfida per il futuro “post-crisi”. «Siamo sicuri che i due euro di reddito al giorno che definiscono la soglia di povertà siano indicativi?» si chiede Folador. Per Marco Durante, amministratore delegato di Phonetica, «la passione è contrapposta al profitto. Perché un imprenditore tiene alla propria azienda più che al proprio interesse economico, e pensa che l’azienda debba continuare a vivere oltre la sua stessa permanenza».
Fare impresa mettendo al centro il bene comune si può, secondo Durante: «L’imprenditore deve saper mostrare i propri limiti, che poi corrispondono al valore dei collaboratori. E poi ci sono le policies: noi ad esempio prima di pagare i premi al Cda garantiamo le remunerazioni ai dipendenti». Nel concreto, l’etica potrebbe avere più spazio all’interno delle aziende.
«Ma a partire dall’esperienza sul campo» chiarisce Varanini, per evitare il rischio che, come spesso accade su questi temi, a “pontificare” sia chi non ha mai messo piede in un’azienda. Folador un suo progetto ce l’ha in mente: si chiama “bilancio di sostenibilità” o “bilancio integrato”, per distinguerlo dal “bilancio sociale”.
L’idea è quella di «integrare gli asset immateriali e intangibili delle piccole e medie imprese, dalle relazioni umane al saper fare artigiano, che sono fondamentali nel processo di creazione del valore, con gli asset economici, che da soli spesso non bastano a definire il valore di un’azienda».