C’è una trentenne varesina, laureata all’Insubria nel 2010, che lavora nel cuore della Banca Popolare di Milano, laddove si deve fare in modo che informazioni di bilancio, analisi dell’andamento finanziario e tutta una mole di informazioni e dati siano “digeriti” e passati nei cervelloni elettronici.
Siamo dietro le quinte di un numero decisamente importante di sportelli ed è come stare in una produzione a ciclo continuo. Gli ingranaggi non si fermano mai, neppure il sabato e la domenica. «Qui tutto deve funzionare sempre – racconta – se non fosse così ci sarebbe un blackout dei servizi ai clienti. A quel punto il nostro lavoro, che si svolge nell’ombra, diventerebbe evidente a tutti».
Un po’ di metafore servono per spiegare un lavoro difficile da comprendere per chi non è addetto ai lavori e si chiede cosa ha a che fare, tutto questo parlare di mainframe e server, con una laurea specialistica in Economia.
Il service manager è colui che, in questo caso specifico, fa da mediatore tra il linguaggio dei dati economico-finanziari e la loro trasposizione all’interno del sistema informatico centrale della banca.
«Lavoro con la direzione informatica e, come dice il mio capo, siamo come la luce che si vede solo quando non c’è». Ma non tutti la pensano così: «Mia mamma – ammette – non ha ancora capito cosa faccio».
Fuor di metafora, Serena Piantoni di sé
racconta che non ha mai smesso di studiare, neppure ora che ha lasciato le aule da qualche anno e che il posto fisso, dal novembre dell’anno scorso, se lo è guadagnato sul campo. «Sono arrivata qui quando ero all’ultimo anno dell’università e ho fatto una tesi sperimentale – racconta – Sono entrata come stagista per sei mesi, lasciando un posto di lavoro che avevo a Varese. Ho scelto di rischiare e mi è andata bene. Dopo lo stage sono rimasta come consulente per qualche anno ed ora sono service manager».
Prima di arrivare a Milano ha lavorato, negli anni dell’università, con la Caravati di Varese nel periodo in cui il cinema Impero ha cambiato pelle per diventare un multisala accorciando il suo nome il Miv. «In quegli anni – ricorda – studiavo e lavoravo. In azienda mi sono occupata di contabilità e amministrazione, ma non mi sono mai tirata indietro se c’era da fare altro. Lavoravo otto ore al giorno eppure riuscivo a dare gli esami».
«Non mi sono mai sentita una matricola – aggiunge – la differenza rispetto a chi arriva dall’università senza aver mai lavorato è evidente, lo posso dire ora che vedo altri giovani affacciarsi al mondo del lavoro».
Anche con un lavoro a Milano, la scelta è stata di non lasciare Varese e il viaggio in treno non poteva essere tempo perso. «Durante il viaggio leggo, studio e scrivo – dice – perché ho la passione della scrittura e collaboro con un magazine online». I suoi articoli su Smartweek.it sono un condensato della sua passione per la tecnologia: «È un modo di far capire che la tecnologia ha un cuore».
Nonostante un mondo fatto di numeri e bilanci, Serena al suo attivo ha un piazzamento tra i finalisti del Premio Chiara Giovani: nel 2009, con un racconto intitolato “L’importanza di un numero”.
Nonostante gli ultimi cinque anni della sua vita siano passati nel mondo dell’Information Technology, «continuo a scrivere racconti brevi, non ho perso mai la voglia di comunicare con il mondo e di vedere il lato positivo di ogni cosa».