Grazie ospedale Hai salvato mia moglie

In giorni di polemiche feroci contro l’Ospedale di Circolo, interviene nel dibattito anche il nostro Francesco Caielli

Fidatevi: chi scrive avrebbe tutti i motivi per essere furibondo (ma per davvero) con l’Ospedale di Circolo di Varese. Eppure dentro di sé sente un desiderio sincero, vivo e pure un po’ rabbioso di alzare la voce e gli scudi contro l’ondata di fango che in queste ore si sta riversando sul nostro ospedale.
Le immagini di Striscia la Notizia hanno fatto male pure a noi, ci mancherebbe: è ovvio che nessuno ha sorriso di fronte a quei corridoi con i pazienti appoggiati sulle barelle o alle parole degli infermieri che si lamentano delle condizioni di lavoro.

Però il dovere di tutti è quello di andare oltre: di non fermarsi alla rabbia iniziale, di cedere alla curiosità e di farsi delle domande. Davvero il nostro ospedale fa così schifo? Davvero preferiremmo essere curati in qualsiasi altro Pronto Soccorso d’Italia piuttosto che avere la sventura di finire al Circolo? Davvero il diavolo è così brutto come lo si è voluto dipingere?
Il Pronto Soccorso, per definizione, è lo specchio di ogni ospedale: porta d’ingresso e cartina di tornasole, luogo in cui arrivano le emergenze, anticamera nella quale i medici sono chiamati a valutare la gravità di tutte le situazioni che via via si presentano. Le emergenze non si prevedono e non si governano: si può soltanto provare a gestirle. In tutti i Pronto Soccorso del mondo ci sono momenti di calma, giorni di ordinaria amministrazione in cui è facile far funzionare le cose e dare una buona immagine di sé, e altre giornate in cui è un casino. E da fuori possiamo soltanto immaginarlo: possiamo immaginare che in quei giorni non sia per nulla semplice, che sia parecchio complicato gestire il male delle persone ed essere costretti a “parcheggiare” in condizioni precarie (anzi, disumane) pazienti che non rischiano la vita per far passare davanti chi sta lottando contro la morte.
E allora bisogna davvero andare oltre. Bisogna provare a vedere cosa c’è oltre quel Pronto Soccorso incasinato e traballante, capire cosa succede a chi capita lì dentro per essere curato. Perché a noi di un ospedale alla fine interessa solo una cosa: che curi bene i suoi pazienti, che salvi le vite o che per lo meno faccia di tutto per provarci.
Il Pronto Soccorso va migliorato (e vogliamo credere che chi di dovere stia provando a farlo, tra mille difficoltà e sempre meno soldi), quella “barellaia” e quei pazienti nei corridoi sono pugni nello stomaco, gli infermieri hanno tutti i motivi di lamentarsi e di chiedere condizioni di lavoro diverse e noi potenziali pazienti di pretendere un trattamenti umano al di là di quanto stiamo male. Striscia la Notizia ha fatto bene il suo lavoro, ma noi ora cerchiamo di fare altrettanto bene il nostro, rispondendo al dovere morale di provare a raccontare le cose come stanno.
E allora, la diciamo davvero tutta. Chi scrive avrebbe tutti i motivi di avercela con l’Ospedale di Circolo perché qualche mese fa sua moglie, lì dentro, per colpa di una leggerezza stava per morire. Però un chirurgo dell’Ospedale di Circolo di Varese le ha salvato la vita (grazie, dottor Annoni), dei medici dell’Ospedale di Circolo di Varese l’hanno curata come meglio non avrebbero potuto e degli infermieri dell’Ospedale di Circolo di Varese si sono presi cura di lei con un’umanità quotidiana fatta di scherzi, flebo cambiate, lacrime asciugate e professionalità.
È vero: non bisognerebbe permettere alle esperienze personali (negative o positive che siano) di influenzare e generalizzare i propri giudizi. Però davanti a chi prova a farci vergognare del nostro ospedale perché il Pronto Soccorso a volte va in tilt (e sogniamo il giorno in cui non succederà più, e continueremo denunciare quando vedremo qualcosa che non va) noi rispondiamo che c’è dell’altro.
C’è un ospedale che tra mille difficoltà, beghe politiche, lotte interne e mancanze prova a fare l’unica cosa che conta: curare la gente. Un ospedale riconosciuto in tutt’Italia e non solo come un’eccellenza, ma come un posto dove andare a guarire. Un ospedale dove succedono cose brutte, ma anche storie bellissime: ed entrambe hanno il diritto di essere raccontate. Perché una vita salvata, diavolo, varrà pure una notte passata su una barella in un corridoio.