Varese città fredda ed egoista. Un ritornello sentito e risentito. E puntualmente smentito. Anche per la splendida iniziativa che si terrà questa sera allo stadio Franco Ossola. Una serata in compagnia nel ricordo di una come noi, di una meglio di noi. Nel nome di Erika Gibellini. Una serata che, grazie alla Fondazione Giacomo Ascoli, regalerà una (o forse più) camere asettiche ai giovani lottatori che combattono ogni giorno contro quella bestia che è il cancro.
Allora abbiamo provato a guardare con il binocolo – avvicinarsi è impossibile, tanta è la distanza morale che mi separa da loro – la mente e il cuore di uno di loro, dandogli in mano una penna per scrivere. Chi è lo scrittore? Non si sa. È un bambino segreto. Che però avrà presto un nome. Sarà il primo bambino che guarirà dal cancro grazie a questa iniziativa. Un bambino che avrà stampato nel cuore il nome di Erika.
“Cari Uomini e Donne, non avete un nome preciso. Proprio come me. Avete solamente un cuore Grande grande. Mi hanno detto che avete organizzato un’asta. Non so bene che cosa sia e allora ho chiesto a mamma e papà. «Vedi, è una grande iniziativa in cui delle persone si divertono ad offrire sempre più soldini per dei cimeli strani, arrivando addirittura a superare il loro reale valore».
Allora ho chiesto stupito: «Mi avete insegnato che i soldi sono importanti. Che non vanno buttati. E adesso mi state dicendo che delle persone li buttano via sorridendo?». Ebbene, loro mi hanno dato ragione. Mi hanno detto che sono tutti pazzi. Perché «osano dove gli angeli temono di andare». Allora mi sono informato su questi pazzi. La maggior parte di loro è pelata e tatuata. Dicono di loro…beh, dicono che vanno negli stadi solo per fare un po’ di confusione. Cantano durante le partite e fanno chilometri per seguire la propria squadra del cuore. Al telegiornale ho sentito che sono delinquenti terribili. Che vanno fermati perché sono l’emblema dello squallore della società . Come può venire qualcosa di buono da loro? Non lo sa nessuno. Eppure, stranamente, quegli stessi telegiornali nazionali non hanno parlato di questo evento straordinario. Neanche un appello. Ed io non ho ben capito perché. Ma in realtà non mi interessa capire. Come puoi capire dei pazzi?
Ma io morivo dalla voglia di capirli. Allora sono andato a leggermi anche la locandina dell’evento che era appesa nella via sotto casa mia. L’asta, il concerto, ho capito tutto. Tranne un particolare. Sotto la scritta gialla “Fuck the Cancer 1.0” (mamma mi ha solamente sussurrato la traduzione nell’orecchio raccomandandomi però di urlarla con tutta la mia vita) c’è un nome: Erika. Un nome come un altro, per me. Poi ho cercato sul telefono con papà. Ho trovato anche il suo cognome: Gibellini. Nebbia fumosa. Nulla di nulla. Infine ho cliccato per sbaglio su YouTube. Ed è uscita una canzone che la definiva come una guerriera ed un angelo. Ed è anche comparsa la foto di una ragazza splendida.
All’improvviso sono stato colpito da un altro dettaglio. «Papà ma non ha i capelli! Come me». «Già, piccolo mio, ed ha un’altra cosa in comune con te. È speciale». «Ma quindi siamo così importanti, noi senza capelli?». «No, amore mio. Anche io non ho i capelli, eppure non sono importante come voi. Quello che conta è quel sorriso che avete negli occhi. Sai? Ogni giorno mi dà la forza di avanti. È l’essenziale».
Allora finalmente ho capito. Ho capito che dobbiamo fare qualcosa di speciale. Dobbiamo andare allo stadio Franco Ossola questa sera. A che scopo? Non è difficile: semplicemente per sorridere. E per donare qualcosina continuando a lottare con Erika contro il cancro. Perché se l’ufficiale diventa generale, nessuno deve disertare. Vorrà dire che non seguiremo più direttamente lui in battaglia. O meglio, non saremo più i soli a seguirlo. Ci sarà un intero esercito con noi. Un esercito che urla “Fuck the cancer!» Confido in voi e vi dedicherò le mie preghiere.