– Il signor Romeo Carugati (nome di fantasia ma neanche tanto) già nel 1913 amava trascorrere i fine settimana a Varese assieme alla sua famiglia, e partiva il venerdì pomeriggio da Milano con il treno delle Ferrovie Nord, che in 50 minuti a tutto vapore lo portava nella “città giardino”.
Da piazza Porcari la tramvia Varese-Prima Cappella garantiva, dalle 5,30 alle 22, corse ogni venti minuti, perciò i Carugati, in un’ora e quarantacinque, da piazzale Cadorna a Milano arrivavano a respirare l’aria buona del Campo dei Fiori, perché scesi dal tram salivano sulla funicolare che li depositava sotto il ristorante Panoramico.
Il Romeo faceva il “formagiatt” e quindi una certa disponibilità economica l’aveva, così prenotava una bella camera con vista al Grand Hôtel Campo dei Fiori, aperto da un annetto, un tè danzante ed era subito cena, ché il giorno successivo, con la Ferrovia elettrica della Valganna in un amen sarebbe stato alle grotte a bere una birretta del Poretti mentre la moglie avrebbe assaggiato l’acqua miracolosa della “Fontana degli ammalati” sotto le fresche frasche.
Lasciati i bagagli al Campo dei Fiori, il tram per Luino li aspettava alla fermata delle Bettole, e si pagava anche poco, perché le Ferrovie Nord garantivano biglietti cumulativi con validità «di giorni due». Per tutte le informazioni del caso, l’ufficio del Turismo in corso Roma era a disposizione con orari comodissimi, e forniva a richiesta la guida “Escursioni varesine e strade carrozzabili” stampata a Milano nel 1898 da Bernardoni & Rebeschini.
Le due figlie dei Carugati, ormai grandicelle, studiavano canto e pianoforte, e la sera del sabato insistevano per andare all’opera, così il papà aveva acquistato i biglietti per il Teatro Sociale: in calendario “Aida”, diretta da Arnaldo Conti, maestro del coro Oreste Sbavaglia, interpreti Ada Androva, Rodolfo Angelini-Fornari, Gaetano Pini-Corsi e Giovanni Polese.
Un’edizione di tutto rispetto, perché, come recita la locandina del tempo, in scena c’erano «80 coristi del Teatro dell’Opera di Boston, 50 professori d’orchestra, 24 musicisti della banda, 18 ballerini, 6 trombe egiziane e 40 comparse» (tra cui il nonno di chi scrive).
Il Carugati se la cavava con 12 lire, quattro «posti distinti di platea», anche se l’Impresa si riservava «di aumentar i prezzi nelle prime rappresentazioni o in serate speciali». Intanto aveva comperato da Marco Pontiggia un numero del “Cacciatore delle Alpi”, diretto da Speri Della Chiesa Jemoli, in cui si poteva leggere un’ampia presentazione dello spettacolo.
Fossero capitati l’anno successivo, avrebbero potuto assistere, sempre al Sociale, all’opera cinematografica “Cabiria”, del d’Annunzio, «tre ore di vero trattenimento artistico» garantito dall’Impresa Mario Ferrari & c. di Milano, ma forse non sarebbe stato uno spettacolo adatto a signorine di buona famiglia.
I Carugati amavano la nuova diavoleria del cinematografo, e a Varese andavano spesso al Politeama Ranscett, in piazza XX Settembre, dove furoreggiava da un po’ il documentario “Esposizione di Parigi 1900” con quadri del tipo: “sfilata di artiglieria da montagna sui muletti”, “acrobatici sulla sedia”, “i cani sapienti” e “bagnanti saltatori di fine secolo”, roba da sbellicarsi.
La domenica la famigliola si godeva il Campo dei Fiori: l’albergo contava 200 stanze, di cui un terzo con bagno e telefono, american bar, sala concerti e conferenze e sala ristorante con vista sul lago, a due passi il ristorante panoramico garantiva una vista unica sulla città.
La Società Grandi Alberghi Varesini, nata dalla volontà di Giovanni Bagaini, dell’ingegner Giulio Macchi e del capomastro Luigi De Grandi, grazie alla bravura dell’architetto Giuseppe Sommaruga, aveva creato l’immagine della Varese “belle époque” e stampato lussuose brochure in cui s’illustravano i meravigliosi soggiorni al Palace Hôtel, all’albergo Campo dei Fiori e all’Excelsior di Casbeno.
In uno dei libretti si leggeva: «Varese stazione climatica di primo ordine. Treni elettrici dello Stato e Ferrovie Nord; 90 coppie di treni al giorno; 50 minuti da Milano; 50 chilometri di tramways locali; tre funicolari, Campo dei Fiori, Sacro Monte e Colle Kursaal (gran ritrovo dell’alta società); centro di 5 laghi, grandi escursioni, passeggiate ombrose; teatro, spettacolo di prosa, musica, varietà; corse al galoppo, campo di skating; festeggiamenti vari tutte le domeniche; alberghi di diverse categorie per duemila posti letto».
Non vorremmo infierire scrivendo che i Carugati, ricchi borghesi del tempo, avrebbero potuto alloggiare al Palace, la sera mangiare al sontuoso ristorante del Kursaal tra tombole e cotillon, e quindi assistere a uno spettacolo nel teatro dello stesso, di ben 1500 posti.
Cosa rimane oggi di quella leggendaria Varese, piccola perla del turismo europeo? Soltanto il rimpianto. Al di là del dolore che si prova nel vedere la desolazione che regna al Campo dei Fiori, l’isolino Virginia lasciato a se stesso assieme al resto del lago, la città sempre più anonima e sporca, c’è la rabbia per aver dissipato un patrimonio ineguagliabile e inestimabile di strutture e idee di chi ha amato davvero la città e il suo paesaggio, e per le fanfaluche di “Varese land of tourism”, figlie di inguaribile provincialismo e pressapochismo organizzativo.
Oggi i Carugati tornerebbero a Milano in autostop.