– In questi giorni, sta girando tutta Italia per dare una lezione di giornalismo presentando il suo ultimo libro, “Il segreto dei Marò”, fresco di uscita ma già arrivato alla sesta ristampa. Ieri il noto reporter ha strappato gli applausi degli studenti che hanno gremito l’aula magna dell’Insubria, facendo capire loro come si conduce il genere giornalistico più nobile e difficile. L’inchiesta, per cui occorre una lunga attività di scavo, infinita documentazione, e una applicazione che talvolta contrasta con l’immediatezza della notizia da mettere in pagina.
«Se sai guardare, anche nel deserto succedono cose meravigliose». Scriveva così , detto Tom: il grande giornalista che negli anni Cinquanta era stato inviato in Sicilia da , allora direttore dell’Europeo, per raccontare al mondo come era veramente morto , detto Turiddu, il capo dei separatisti siciliani. Il fulminante attacco di pezzo è da leggenda: «Di sicuro c’è che è morto», cui Besozzi era arrivato grazie a una puntuale ricostruzione dei fatti dopo aver parlato con gli abitanti di Castervertrano fino ad arrivare a scoprire che la versione ufficiale sulla morte del bandito non reggeva.
Besozzi aveva guardato a fondo il deserto informativo della Sicilia di quegli anni e aveva trovato una verità che tutti volevano nascondere. Per questo la sua inchiesta è una delle migliori del giornalismo italiano perché è diventata il metro di misura di tutte le altre: da quella sullo scandalo Lockheed, che aveva travolto il presidente della Repubblica , negli anni Settanta, all’inchiesta di Repubblica su .
Il fatto di cronaca recente che richiederebbe grande approfondimento è il “caso dell’Enrica Lexie” e cioè la controversia internazionale fra Italia e India, nata in seguito all’arresto, da parte della polizia indiana, di due fucilieri di marina italiani (i “marò”), imbarcati sulla petroliera italiana come nuclei militari di protezione, e accusati di aver ucciso Valentine (alias Jelastine) e Ajeesh Pink – due pescatori imbarcati su un peschereccio indiano – il 15 febbraio 2012 al largo della costa del Kerala, stato dell’India sud occidentale. Il libro di Capuozzo è un’avvincente inchiesta che farà la storia del giornalismo italiano proprio come quella mitica di Besozzi. E arrivare alla pubblicazione dell’agile tomo non è stata una passeggiata per il giornalista, che ammette: «La vicenda è scomoda ed è stata politicizzata in modo strumentale. Trovare un editore non è stato facile».
Alla fine l’opera è uscita per i tipi di Mursia, nella bella collana “Testimonianze fra cronaca e storia – Le nuove guerre”, con questo accattivante richiamo: «Potete credere per principio a Latorre e Girone quando dicono: “Siamo innocenti”. Potete, sempre per principio, non credergli. Potete considerare le contraddizioni dell’indagine indiana importanti, oppure marginali. Ma chiedetevi: com’è possibile che dopo tre anni e mezzo i due marò non siano stati ancora rinviati a giudizio?». Le due ore e mezza abbondanti trascorse da Capuozzo insieme ai ragazzi dell’Insubria hanno rappresentato una lezione magistrale di giornalismo investigativo «all’inglese», come ha osservato , preside del Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione.
«È dalla ricostruzione dei fatti che bisogna partire per raccontare qualunque storia», dice Capuozzo, aggiungendo: «I militari possono essere simpatici o no. Non nascondo che io ho conosciuto personalmente Latorre perché mi aveva fatto da scorta in Afghanistan nel 2006. Ma nessuno deve essere animato dai pregiudizi che, anzi, vanno spazzati via subito». «Non si sa che cosa sia accaduto esattamente il 15 febbraio del 2012 e in una situazione imbalsamata bisogna andare ai fatti,
ricostruendoli nel modo più obiettivo possibile». La vicenda è stata gestita male dall’Italia: «Convinti, all’inizio, che l’affare potesse finire a tarallucci e vino, è sfuggito completamente il pericolo di una strumentalizzazione politica, tanto che si acconsentito a condurre la Lexie nel porto di Kochi e a far scendere i due marò dalla nave. Se non fosse accaduto si sarebbe arrivati in tempi incredibilmente più brevi a quell’arbitrato che ora dovrà dirimere la questione». Capuozzo ricostruisce gli eventi, a cominciare dalla legge che consentì l’impiego di personale militare a bordo di navi mercantili.
Spiega il groviglio giuridico che ha intrappolato due Paesi amici, l’Italia e l’India, e il peso degli interessi economici e politici che hanno condizionato la vicenda, gli errori di tre governi e cinque ministri degli Esteri italiani. Ma soprattutto ricostruisce l’incidente del 15 febbraio facendo emergere tutte le contraddizioni e le lacune dell’inchiesta indiana e avanzando un’ipotesi di innocenza dei due militari, mai fatta propria dalla diplomazia italiana. Latorre e Girone hanno sempre detto: «Siamo innocenti». Ma nessuno finora gli ha creduto.Il dibattito con gli studenti dell’Insubria è stato avvincente e Capuozzo ha risposto alla questione sollevata da , laureatasi in Scienze della Comunicazione con una tesi sui marò e ora studentessa della laurea magistrale: «Come hanno trattato i media italiani la vicenda dei marò?». «In modo nevrotico», risponde Capuozzo, il cui libro va letto da cima a fondo per capire tutto sul fatto della dell’Enrica Lexie ma anche per capire come deve essere fatto davvero il giornalismo».