L’inferno a Parigi, ieri sera. In un venerdì come un altro – o almeno così doveva essere -, nella capitale francese si scatena la guerra. Già, guerra, perché il bilancio è quello di una guerra: gli attentati al cuore della Francia lasciano a terra 128 morti e 250 feriti (un centinaio in gravissime condizioni – anche due italiani tra i feriti, non gravi). Il terrore colpisce, con una furia omicida senza precedenti, nel cuore dell’Europa. E lo fa a modo suo: non contro gli obiettivi sensibili ma contro luoghi di divertimento, svago. Lo fa contro i luoghi che non ti aspetteresti mai: quelli che ogni persona, ogni cittadino su questa faccia della terra, ritiene sicuri. Come si fa a non ritenere tali un concerto, un ristorante, un bar, un fast-food?
Il primo attacco è avvenuto quando un kamikaze si è fatto saltare in Boulevard Voltaire (ma in questo caso non ci sono state vittime), a Rue de Charonne 18 vittime al bar La Belle Équipe, 5 morti alla pizzeria La Casa Nostra in a Rue de la Fontaine au Roi, almeno 18 morti tra Rue Alibert nel bar Le Carillon e nel ristorante Le Petit Cambodge in Rue Bichat. Le altre vittime – un centinaio – morte nell’attentato nella sala concerti Le Bataclan, alle quali vanno aggiunte le persone morte all’esterno dello Stade de France, dove si giocava l’amichevole di lusso Francia-Germania, più tre terroristi kamikaze che si sono fatti saltare. In totale sono 8 i terroristi morti, ma alcuni di loro sarebbero ancora in fuga.
Parigi, oggi, è sotto shock. È stata decretata la chiusura delle scuole, dei musei, dei mercati, e più in generale di tutti gli edifici pubblici. È stato chiuso Eurodisney e sono stati sospesi tutti gli eventi sportivi. Le frontiere non sono chiuse, anche se il presidente Hollande nel suo discorso di questa notte aveva dichiarato lo come ha detto il presidente Holland «la chiusura delle frontiere (poi rientrata) e lo stato d’emergenza in tutta la Francia». Questa mattina, sempre il presidente è tornato a parlare alla nazione: «Reagiremo con tutti i mezzi».