«Se perdiamo il Varese è come se cadesse un monumento»: lo urla Tiziano Masini dalla prima pagina de “La Provincia”, ma le sue parole arrivano dal vostro cuore. In trenta partiranno domani, destinazione Trapani, per tifare una maglia senza presidente, quindi ancora più povera, nuda e vera di quanto lo fosse prima. Il Varese è qui, con i suoi debiti ma anche con i suoi 105 anni (li compirà il 22 marzo), 25 dei quali passati ad attendere un ritorno in serie B che nessuno ora può cancellare.
Al Varese, grazie alle dimissioni di Nicola Laurenza, si spalanca un’opportunità straordinaria: essere amato ed abbracciato da chi fino a ieri non avrebbe potuto farlo. Nel nome del padre, nel nome del calcio (il calcio dei Capozucca, dei Balzaretti, dei Pellissier e di una strada mai chiusa del tutto che aspetta di essere riaperta dal 2001), nel nome dello sport: per questi motivi almeno tre imprenditori nel cuore di tanti, anzi di tutti, possono compiere quel gesto che in fondo al loro cuore sanno di dover compiere ora,
o mai più.
Attilio Fontana li ha sentiti e li risentirà entro il week-end, proponendo a tutti un “affare di cuore”: non un fallimento pilotato stile Bari che cancellerebbe sì ogni debito ma anche il Varese 1910 ma soprattutto Nicola Laurenza, la sua azienda e la sua famiglia. Il sindaco, che è riuscito a fare quadrato con chiunque sia pronto a salvare il “monumento” biancorosso (da Giorgetti a Marantelli, da Gunnar Vincenzi ad Abodi e al tribunale), propone una strada di mezzo: il male minore, il bene maggiore. Il suo nome, un po’ strano, è questo: articolo 182 bis della legge fallimentare. Spieghiamo in pagina di cosa si tratta ma, per farla breve, è un meccanismo che permetterebbe di spalmare e ridurre il debito con l’agenzia delle entrate, ai creditori di avere almeno qualcosa del dovuto, alla società di conservare il valore dei cartellini (la metà di De Luca e Miracoli, l’intero Fiamozzi, ecc.), tutte cose che nel fallimento scomparirebbero, o per lo svincolo dei giocatori, o per l’azzeramento dei conti.
Gli imprenditori-tifosi pronti a ricostruire e rilanciare il Varese partendo dalla serie B dovrebbero pagare un prezzo maggiore di quello a cui sarebbe stato assegnato il club all’asta fallimentare, ma se sono bravi – e lo sono – scegliendo le persone giuste in ogni ambito (soprattutto commerciale, oltreché sportivo), potrebbero poi trionfare perché ora, e solo ora, hanno tre carte impossibili da giocare in caso di retrocessione, fallimento o ripartenza dai dilettanti (capita una volta su un milione di andare dell’Eccellenza in B nel giro di 6 anni): 1) un allenatore e una squadra che arrivano dal basso e incarnano lo spirito del Varese e degli stessi possibili acquirenti: meritano solo d’avere un proprietario; 2) la serie B; 3) l’entusiasmo e la venerazione di una piazza che, solo vedendoli spuntare allo stadio, impazzirebbe.
L’attuale società? Imborgia con i suoi finanziatori (senza il loro contributo, il Varese avrebbe 2 punti di penalizzazione in più oltre al -4 e sarebbe già in Lega Pro: ammettiamolo) potrebbe entrare nel consiglio d’amministrazione con i nuovi soci, Beppe D’Aniello è l’uomo macchina che tutti conoscono.
Restano i soci napoletani, attualmente al 7%: perché non chiedere a Paolo Vitiello, che abbiamo visto su tutti campi (da Latina ad Avellino e Trapani, e via così) per pura passione, ben più pura rispetto a tanti altri, di crederci ancora. Anzi: di più.
Incrociamo le dita. Il buon Pigio direbbe: chi vivrà, vedrà.