Sono circa centomila le bottiglie di vino che vengono prodotte ogni anno in provincia, per un giro di affari che si stima intorno ai 900mila euro.
Piccoli numeri in confronto alle grandi province toscane, venete o piemontesi, terre note per la forte tradizione vinicola. Ma a Varese si produce buon vino. Solo da pochi anni si è intrapreso il recupero dello sfruttamento di qualità del poco territorio rimasto destinato alla viticoltura: si tratta di prati abbandonati o di recupero di vecchi vigneti.
Spesso si tratta di dilettanti, di persone cioè che hanno scoperto questa passione, pur occupandosi di altro. Dilettanti sì, ma non allo sbaraglio.
«La crescita del mercato del vino di qualità nella nostra provincia – spiega Valerio Bergamini, delegato Ais Varese – è stata possibile grazie al fatto che questi viticoltori, seppur alle “prime armi” si sono appoggiati a esperti, enologi e agronomi che hanno consentito di scegliere i vitigni più adatti: il Merlot, prevalentemente coltivato nelle aree interne (Morazzone) dove il vitigno riesce a raggiungere la maturazione perché non influenzato dalla presenza del lago; il Nebiolo tipico delle zone di Angera, che beneficia dell’influenza del lago Maggiore». Ma anche Syrah per i rossi e Sauvignon o Chardonnay per i bianchi.
Sul nostro territorio non c’è la storicità del Barolo e nemmeno è possibile un confronto con le produzioni quantitative e qualitative del Canton Ticino che sono partiti in “questa avventura” trent’anni fa, ma secondo Bergamini nel Varesotto ci “destreggiamo” bene.
«Il livello qualitativo delle nostre viti è medio-alto grazie alla presenza di enologi importanti che curano la parte di coltivazione della vite, la sanno trattare e grazie alla presenza di attrezzature sofisticate in cantina per una fermentazione a temperatura controllata».
E se la crescita qualitativa del nostro vino è possibile – «invecchiando le uve possono solo che migliorare: più la vigna invecchia, più produce vino di qualità» – la crescita in termini numerici è più complessa, o comunque richiede tempi lunghi.
«Le regole dell’Unione Europea e delle leggi italiane impediscono di piantare una vigna da vino se non era già precedentemente presente o se non si dispone di il diritto d’impianto (che verrà abolito nel 2015, ma che è prorogabile fino al 2018). Sostanzialmente, il problema è che ci sono poca superficie libera e scarse possibilità di espansione». Sono sette le aziende vinicole in provincia e che fanno capo all’associazione “Vini Varese”, nata nel 2008: si tratta di Cascina Piano di Angera (circa 30 mila bottiglie di vino prodotte all’anno),
Cascina Ronchetto di Morazzone (circa 30 mila bottiglie di vino prodotte all’anno, con vitigni di Merlot e Chardonnay coltivati su quasi due ettari di terreno, con vitigni di Nebiolo distribuiti su tre ettari di terreno), la Tenuta Tovaglieri di Golasecca (circa diecimila bottiglie all’anno di ottimi rossi a base di Nebiolo e profumati bianchi), Valle luna a Varese, Vitivinicola Laghi d’Insubria di Albizzate e Cascina Filip di Travedona.
La titolare di Cascina Ronchetto, Sandra Pellegrini, ammette di aver preso spunto dagli svizzeri nei metodi degli impianti, affidandosi all’enologo Giovanni Caprifoglio e alle amorevoli cure di Walter Albinati, responsabile delle vigne.
«Abbiamo migliorato negli anni la qualità del nostro vino – spiega Pellegrini – Regione permettendo, l’intenzione è quella di ampliarci e aumentare la produzione. Le difficoltà maggiori all’inizio sono state quelle di riuscire a convincere la gente e i ristoratori che anche qui si può fare del buon vino. Ora, piano piano, ci stiamo riuscendo».
Infatti, uno degli obiettivi che Bergamini intende perseguire è quello di convincere sempre più ristoratori a proporre il vino a “chilometro zero”.
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