Ho aspettato con passione Rio 2016, al via questa notte. Ho partecipato a sei Olimpiadi, quattro come giocatore della nazionale di basket (Monaco, Atlanta, Mosca, Los Angeles) e due come team manager (Sydney e Atene) e ne conservo ricordi meravigliosi. Direte: il più bello, senz’altro l’argento di Mosca ’80. Sì, bellissimo. Ma ne ho di migliori. Credetemi, l’Olimpiade è davvero una fantastica storia di sport e di umanità: non è retorica, è la verità. Ti mischi con ragazzi di tutto il mondo,
fai le conoscenze più impreviste e straordinarie, capisci che lo spirito olimpico esiste. È amicizia, fraternità, allegria. Ai tempi del mio esordio, o poco dopo, conobbi per esempio Mennea, Perri, la Simeoni. Restammo in grande cordialità. Lo stesso, molti anni più tardi, con la Isinbayeva, l’astista russa. E l’elenco, come immaginate, potrebbe essere lunghissimo.Ho giocato campionati europei e mondiali, sono stato protagonista di formidabili sfide tra club prestigiosi, ricevuto ovazioni in tante celebri arene. Ma nulla mi ha reso più felice di essere presente alla sublimazione dello sport. Questo penso sia l’Olimpiade: se ci sei dentro, ne respiri la storia, il fascino, il valore. È un sentimento che ti dà gioia: sul campo di gara, nel villaggio, al ristorante, in ogni occasione di incontro con compagni di squadra e avversari. Infine, una memoria che particolarmente mi gratifica: in ogni sede olimpica, il mio nome appena lo facevo a chiunque avessi di fronte veniva associato alla Valanga Gialla. All’Ignis-Mobilgirgi degli anni Settanta. A quella Varese entrata nella leggenda. Mi onoro d’averne fatto parte.