Palermo, 29 lug. (TMNews) – Ventotto anni fa, la mattina del 29 luglio 1983, un’autobomba uccideva a Palermo il giudice Rocco Chinnici, i due carabinieri di scorta, Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta, e il portiere dello stabile dove il viveva il magistrato, Stefano Li Sacchi.
Nato a Misilmeri in provincia di Palermo nel 1925, Rocco Chinnici era arrivato all’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo nel maggio del 1966, come giudice istruttore.
Il suo grande fiuto nelle indagini di mafia lo portarono ad essere tra i primi ad intuire la necessità di seguire i percorsi economici degli affari illeciti, per risalire alle dinamiche interne a Cosa nostra. Così come l’importanza di privare l’organizzazione delle sue risorse patrimoniali per infliggerle dei colpi efficaci.
Tra le innovazioni rivoluzionarie di Chinnici, spicca certamente anche quella dell’allestimento di una squadra di magistrati che si occupasse a tempo pieno di Cosa nostra: fu così che nacque il “pool antimafia”, del quale fecero parte Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello.
I successi del pool, come l’esito del Maxiprocesso, concluso nel dicembre 1987 con 360 condanne, 19 ergastoli e 2665 anni di carcere, furono dunque il frutto del lavoro che Rocco Chinnici aveva avviato anni prima; ma che non poté vedere a causa di una Fiat 127 imbottita di esplosivo, che davanti alla sua abitazione in via Pipitone Federico lo uccise insieme ad altre tre persone.
Per l’omicidio del giudice Chinnici, il 24 giugno 2002 la Corte d’appello di Caltanissetta, dopo un iter giudiziario iniziato sette anni prima, ha confermato gli ergastoli per 12 affiliati a Cosa nostra considerati responsabili della strage. La sentenza ha dato ragione alla tesi dell’accusa secondo cui l’omicidio di Rocco Chinnici fu chiesta da Nino e Ignazio Salvo, gli “esattori” di Cosa nostra. A premere il tasto del detonatore che provocò l’esplosione fu Pino Greco della famiglia mafiosa di Ciaculli.
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