– Il monito del parroco don Remo Ciapparella nella Chiesa di San Giorgio gremita per tributare l’ultimo saluto a Claudio Silvestri: «Nessuno si deve permettere di giudicare». In centinaia ieri mattina si sono radunati per tributare l’ultimo saluto a Claudio Silvestri, il 41enne strangolato a morte nella sua abitazione di via Vittoria. Prima nella Chiesa di San Giorgio per la cerimonia funebre, poi in corteo fino al cimitero di Jerago dove la bara è stata tumulata nella tomba di famiglia dove già riposa il padre di Claudio.
La Chiesa era affollata, nonostante il periodo ferragostano: la comunità jeraghese ha voluto stringersi in modo tangibile attorno alla famiglia di Claudio Silvestri, in primis alla grande forza di volontà dimostrata ancora una volta dalla madre Anna, in prima fila insieme agli altri due figli Mauro e Monica. In Chiesa erano presenti il sindaco di Jerago con Orago Giorgio Ginelli, con il vicesindaco Gigi Lodi Pasini, ma anche tanti militanti della sezione della Lega Nord Valle del Boia, a cui “Ozzo” era iscritto, e l’assessore leghista di Gallarate, Paolo Bonicalzi, anche in rappresentanza del sindaco Andrea Cassani.
E poi i tanti amici di “Ozzo”, che in paese era conosciuto anche per una vita sociale sempre attiva, e ancora i colleghi di lavoro di Claudio in Alha, compagnia che opera nella Cargo City dell’aeroporto di Malpensa, che hanno fatto pervenire una corona di fiori. «Il momento che stiamo vivendo – le parole nell’omelia di don Remo Ciapparella, parroco di Jerago, e guida dell’unità pastorale con Orago e Besnate – è un momento delicato, è
inutile nascondercelo, che tocca tutti noi, dove nessuno si deve permettere di giudicare». Parole chiare, che sgombrano il campo da ogni possibile lettura della tragedia. Don Remo si sofferma sulla figura del “Giusto”, collegandosi alla prima lettura: «Abbiamo sentito che le anime dei Giusti sono nelle mani di Dio – ricorda il parroco – per fortuna è Dio il nostro giudice supremo, alla fine della nostra vita, e sappiamo e conosciamo la sua bontà, la sua misericordia, la sua comprensione».
E ancora: «Ma chi è il giusto? – si chiede il sacerdote – non è chi non commette reati o sbagli. “Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra”. Ma chi riconosce la sua fragilità, la sua responsabilità. Noi siamo giusti quando abbiamo l’umiltà di riconoscerci peccatori, delicati, fragili. Questo è il Giusto, secondo il Vangelo, secondo Gesù. Chi ammette i suoi errori e si mette nelle mani di Dio». È a questa «giustizia», quella divina, che bisogna «affidare l’anima del nostro fratello Claudio. La sua vita tormentata approda ora a questa sponda. E non è una falsa sponda, una falsa meta, spesso inseguita da noi nella nostra vita. È la sponda vera, l’unica, reale, non è di fantasia.
È un dono gratuito che viene da Dio, alla fine di questo travaglio del nostro fratello Claudio». Un destino cattivo, come in molti lo hanno definito in questi giorni nel riflettere sul tragico episodio, anche alla luce di quell’incidente che 16 anni fa sconvolse l’esistenza di Claudio: «Diceva Sant’Agostino che “il cuore dell’uomo è sempre irrequieto, tormentato, non trova mai pace se non quando arriva a te” – afferma don Remo – che Claudio approdi ora a questa pace, la Pace con la P maiuscola. Nessuno potrà portargliela via, neanche con la violenza o l’inganno, o l’ingiustizia». Come è successo nella sua abitazione di via Vittoria in quella tragica notte.