Ti aspetti sempre che in un carrozzone, quale in fondo Sanremo è, non ci sia spazio per le sorprese. Che le “emozioni” tanto sbandierate su quel palco, in fondo, siano solo spettacolo. Messe in scena. Poi parli con i protagonisti, che guarda caso si ritrovano ad essere anche i vincitori. E ti sorprendi sentendo la loro voce davvero incredula, le loro espressioni genuinamente inaspettate, la loro gioia sentitamente indescrivibile. da Gallarate con Sanremo ha un legame speciale.
Lo vinse come direttore d’orchestra più giovane con la ancora più giovane Anna Tatangelo nella sezione Nuove Proposte edizione 2002 (con il brano “Doppiamente fragili” scritto proprio da lui). Lo dominò l’anno scorso dirigendo l’orchestra per Nek, arrivando secondi a sorpresa e portandosi a casa anche il premio per il miglior arrangiamento con “Fatti avanti amore”, scritta a quattro mani da Neviani proprio con Chiaravalli. E sabato sera all’Ariston il colpaccio: il maestro gallaratese sul palco accanto agli , trionfatori indiscutibili con “Un giorno mi dirai”, brano che porta la firma anche del maestro gallaratese premiato, oltre che con il Leone d’oro di Sanremo, anche con il premio per la migliore musica, istituito quest’anno in memoria di Giancarlo Bigazzi.
Luca Chiaravalli, insomma, a queste cose ci dovrebbe essere abituato. E invece no. Questa volta è tutto diverso. Tutto. Il perché? Ce lo spiega lui: «Innanzitutto perché non capita tutti i giorni, anzi non capita quasi mai, che ti trovi dietro le quinte pronto a ritirare il premio per la miglior musica nella sezione Big e di fronte a te ti trovi, senza saperlo, il tuo migliore amico che sta per ricevere il riconoscimento come migliore testo nella categoria Giovani». Quell’amico fraterno è , varesino, autore del brano “Amen” che è valso la vittoria a .
Stiamo parlando di Fabio, un artista nel senso più stretto e autentico del termine. Mica un mestierante come me… Fabio non ha il cellulare, vive coltivando i suoi campi e dipingendo. E scrive capolavori. Sono vent’anni che condividiamo passione, scrittura e vita ma no, non sapevamo di essere a Sanremo. Ci siamo ritrovati lì, uno di fronte all’altro. Pazzi di gioia, increduli, galvanizzati. Siamo solo riusciti a dirci: «Ma ti rendi conto?».
È nata in una notte dalla penna e dal genio di (storico collaboratore degli Stadio, ndr). Era il 2012. Il giorno dopo me la portò, io ci aggiunsi alcuni pezzi. E fu messa lì, nell’infinito cassetto dei pezzi pronti da tirare fuori al momento giusto.
Saverio la fece sentire a . E lui la propose a … che la volle per sè. C’era solo una cosa che non lo convinceva: la parola “rinunciare”. Disse che non sarebbe risultata credibile cantata da lui. I tentativi di cambiare il testo però furono tutti fallimentari, così Curreri si riprese il pezzo. L’anno scorso lo propose a Conti per il suo primo Sanremo, ma venne scartato. Quest’anno ci ha ritentato…e sapete tutti com’è finita.
Eh sì, sarebbe stato interessante! Scherzi a parte, dopo l’anno scorso pensavo che non avrei mai più vissuto un Sanremo così. E invece quest’anno è stato forse ancora più bello. Completamente diverso, ma splendido.
È stato il Sanremo della verità. Dove a trionfare è stato un gruppo che fa musica da una vita, si è presentato alla ribalta più difficile e ha dato una lezione di professionalità, passione ed umiltà a tutti. Tutti. Il pubblico non è scemo, ripaga sempre l’autenticità. Gli Stadio hanno inanellato una performance più potente e coinvolgente dell’altra. Nessuno avrebbe scommesso sulla loro vittoria. E invece eccoci qua: quattro professionisti di razza in trionfo, un contadino che scrive un capolavoro di testo e conquista la sezione Giovani.
È stato un Festival strano, molto equilibrato. Non c’è mai stato il grande favorito della vigilia. Gaetano e la band non si aspettavano tutto questo. E nemmeno io, ad essere sincero, anche se amo tantissimo quel pezzo chiaramente. Confesso che quando l’ho sentito cantato da Curreri mi sono emozionato, è come se l’avessi sentito per la prima volta. Gli ha cucito addosso una potenza e al tempo stesso una fragilità incredibili. Da brivido.
Ci confessi un’altra cosa, adesso. Dopo aver scritto per i più grandi ed aver collezionato successi su successi, a chi sogna di regalare il prossimo brano?
I sogni sono sempre tanti. Sono il motore. Ma gli artisti che ammiro sono quasi tutti “autonomi” nel senso che scrivono da sè. Dai Coldplay a Elisa. Forse è la mia deformazione professionale a farmi apprezzare un certo tipo di cantante, non so. Di certo non mi fermo mai. E, come sapete, resto sempre…a Galla.
n Federica Artina