Invisibili per tutti, tranne che per chi li ama. Silenziosi per chiunque, tranne per chi ha imparato ad ascoltarli. Queste sono le storie, bellissime e maledette, di chi ha come casa una stanza d’ospedale e non conosce il significato della parola domani.
Federico e suo papà Giorgio, ma anche Dado e sua mamma Doriana e tutti quelli a cui il destino ha riservato una vita diversa. Una realtà sconosciuta e sottaciuta, bambini davanti ai quali è
più semplice voltare la testa dall’altra parte. Una realtà capace di dare un significato tutto nuovo al concetto di amore per come lo conosciamo noi e di ribaltare le convinzioni.
La disabilità grave di un figlio è una condizione difficile da spiegare perché probabilmente può capirla solo chi ci finisce dentro: noi possiamo soltanto permetterci di ascoltarla e, magari, imparare qualcosa. No, niente retorica e nessuna frase fatta: non c’è poesia in questo tipo di sofferenza e nemmeno c’è la possibilità di ricamarci sopra dei racconti di quelli che emozionano.
Lì dentro, in quei ragazzi che i loro genitori chiameranno per sempre bambini, facciamo fatica a vedere qualcosa che non sia un insensato, morboso, instancabile attaccamento alla vita. Nient’altro che quello: amore per qualcosa che noi da fuori fatichiamo a definire esistenza.
E non è che sia un insegnamento da portarci a casa, non arriviamo a tanto. Semplicemente, ci piacerebbe anche a noi, ogni tanto, voler bene al sole che è sorto anche stavolta come fanno Federico e i suoi amici. Contenti, semplicemente, di esserci.