«Sono passati 14 anni quasi. La mia mamma merita giustizia». , parla nel suo ristorante di Cocquio Trevisago il giorno dopo l’esperimento giudiziario che ha ricostruito il presunto incidente dove la madre è morta. Era il febbraio 2003. Indagato per quell’omicidio è il padre di Tina, , il killer delle mani mozzate già condannato all’ergastolo in via definitiva per l’assassinio di Carla Molinari avvenuto nel 2009. Tina, cion la sorella Cinzia, è l’inizio della storia. Sono state le due ragazze all’Appello per l’omicidio Molinari a incontrare il sostituto procuratore generale di Milano che discuteva il processo e a confidarle che secondo loro era stato il padre ad assassinare la prima moglie.
«È stato lui – dice Tina oggi rigirandosi un cuore tra le mani – è stato lui e lo abbiamo sempre saputo. Giuseppe Piccolomo non deve avere pace sino a quando non pagherà per l’omicidio di mio madre». Cinzia e Tina definirono «mostro» il padre anche durante il processo Molinari. «Noi vogliamo soltanto la verità – spiega Tina – Nostra madre non prendeva farmaci. Eppure le hanno trovato tracce di farmaci nel sangue. E poi quella gita in macchina. Alle 2 di notte. Non era mai successo».
Mai successo che Piccolomo invitasse la moglie a fare un giro notturno, come fossero due fidanzatini. Con una tanica piena di benzina sotto il sedile di lei e lei che si accende una sigaretta. Poi l’incidente «che per noi non è stato un incidente», dice Tina, e la sigaretta che finisce provvidenzialmente dentro la tanica. L’auto prende fuoco e Marisa muore arsa viva. «Ci raccontò nostro padre – dice Tina – Della mamma che batteva le mani sul finestrino mentre il fuoco la divorava.
Della pelle che si scioglieva». Tina oggi dice: «Io sono grata a Carmen Mafredda, una donna eccezionale, e agli agenti della squadra mobile di Varese che lavorano al caso. Sono eccezionali. Stanno facendo cose eccezionali. Stanno cercando di dare giustizia alla mia mamma e io non posso che dire grazie. Grazie per il tempo che hanno impiegato. Grazie per quello che stanno facendo. Grazie perché non lasciano nulla di intentato». Tina oggi è una donna di successo. «Fra, Mar. Tina – spiega – nel nome del mio ristorante c’è la mia mamma. Mar sta per Marisa. È lei che mi ispira. Questa donna bellissima che cucinava in modo splendido. Io non sapevo fare nulla, poi ho pensato a lei e ho creato questo. Quell’uomo è un mostro. Per me l’ha uccisa lui. L’ho detto e ridetto. Oggi è in carcere e noi abbiamo smesso di avere paura. Ma la mia mamma deve avere giustizia. Deve avere la verità. E lui deve pagare anche per quello che le ha fatto. Mamma noi non smetteremo mai di chiedere verità per te».