«L’ippica può avere un futuro, ma bisogna creare un progetto e togliere il settore al Ministero». Così Guido Borghi, patron della Società varesina incremento corse cavalli, si unisce al lamento della filiera ippica italiana e denuncia i tagli al settore già annunciati per il 2016. Lo stanziamento complessivo per l’ippica è passato dai 380 milioni di euro del 2011 ai 177 del 2016 (da previsione del Ddl stabilità), con un taglio di 20 milioni di euro rispetto al 2015. Anche i montepremi sono diminuiti drasticamente: da 185 a 90,5 milioni di euro.
Chiudere gli ippodromi significherebbe far fallire aziende, perdere posti di lavoro, affossare gli allevamenti. Ma esistono potenzialità di sviluppo, anche perché i segnali positivi non mancano. Ad esempio, fantini e cavalli italiani sono molto richiesti dal mercato internazionale: vantiamo fenomeni della sella e del frustino e ogni anno vengono esportati dai 20 ai 30 cavalli, tutti potenziali campioni. «Ci lamentiamo perché ci tolgono 20 milioni di euro, ma questi soldi potremmo produrli noi, con una unità
di intenti e di gestione» propone Borghi. Che si rifà agli elettrodomestici: «Se cala la vendita di lavatrici, bisogna fare di tutto per riportarla su, con promozioni, sconti e iniziative».
In primo luogo bisogna intervenire sulle scommesse: «Adesso l’ippica costituisce appena lo 0,6% del settore, questo perché non è promossa. In televisione si parla solo di lotto e superenalotto, l’ultimo spot risale a più di trent’anni fa. Se si riportasse l’ippica al 4%, guadagneremmo la possibilità di dare lavoro a 40mila persone, dove attualmente sono 15mila».
L’ippodromo delle Bettole, tutto sommato, si barcamena: con giornate da sei corse di valore minimo, riesce a produrre sul campo più di Roma trotto, Milano trotto e Napoli trotto. Nello specifico, Varese produce 20mila euro, contro i 10mila degli altri ippodromi che fanno il 50% con otto corse. Anche il sogno di portare il trotto a Varese non è naufragato: «Abbiamo in mano una lettera che ci autorizza ad avere il trotto, ma non iniziamo a fare i lavori fino a quando non ci danno le remunerazioni e le giornate», spiega il patron. «La gente per affezionarsi all’ippica non deve vedere i cavalli di bronzo nelle piazze, ma quelli in carne ed ossa. Alle Bettole vorremmo correre un po’ meno in inverno e un po’ di più in primavera, insieme a Milano» continua Borghi. Servirebbe più pubblicità e, non ultimo, «visto che siamo sempre considerati l’ippodromo estivo dell’area milanese, vorremmo gli stessi premi. Anche perché i costi di gestione al Nord sono superiori rispetto ad altre aree».
«I 20 milioni che ci vengono a mancare fanno male, ma l’ippica può avere un futuro – ribadisce Guido Borghi, che giovedì parteciperà a Bologna a una assemblea con tutte le società del settore – Non ci va bene che i signori del ministero non siano mai stati in un ippodromo o non abbiano mai visto un allenamento. Bisogna togliere l’ippica da queste mani profane, per metterla in quelle di qualcuno che conosce davvero il settore in tutte le sue componenti». E sull’ipotesi di mettere in piedi una lobby tra tutte le società? «La torta è troppo piccola, difficilmente si riesce a portare avanti un obiettivo tutti insieme. Se non andiamo davanti al premier dicendo “questo è un settore che nell’arco di un anno e mezzo può dare 45mila posti di lavoro in più”, non riusciremo mai ad arrivare a nulla. Sarebbe giusto fare lobby, ma bisogna scegliere la persona giusta che ti porta lì». E rivela: «Quando c’erano al governo Berlusconi e Monti avevo indicato due gruppi di studio che potevano risolvere il problema: Sinergetica e Studio Ambrosetti. Purtroppo poi i miei colleghi si sono mossi in modo diverso».