Piange Veronica: ma non si dispera. E continua a ripetere quella frase come un ritornello. «Non l’ho ucciso io, non ho ucciso Loris». La mamma ragazzina torna davanti ai magistrati per altre 6 ore, dopo le 8 di lunedì sera, senza cambiare di una virgola il suo atteggiamento: remissiva, voce bassa, occhi che non incrociano mai quelli di chi ascolta.
Ma soprattutto la mamma del piccolo ritrovato in fondo al canalone al Mulino Vecchio respinge ancora una volta le pesantissime accuse che la Procura di Ragusa le contesta: omicidio aggravato dal legame di parentela e dalla crudeltà
e occultamento di cadavere. Veronica Panarello, scrivono il procuratore di Ragusa Carmelo Petralia e il sostituto Marco Rota nelle 25 pagine del decreto di fermo, «si è resa responsabile dell’omicidio del proprio figliolo con modalità di elevata efferatezza e sorprendente cinismo». Le sue dichiarazioni e il suo racconto di quel che accadde quella mattina «confliggono palesemente con le risultanze delle registrazioni degli impianti di video sorveglianza installati lungo l’effettivo percorso seguito dalla Panarello».
Per questo è documentato, «oltre ogni ragionevole dubbio», che quella mattina Loris di casa non uscì più, dopo esservi rientrato alle 8,32, un minuto dopo esser sceso con la mamma e il fratellino più piccolo. E non ci sono dubbi, secondo la Procura, anche sul fatto che «nell’intervallo tra le 8,49 e le 9,23 di sabato» nessun’altra persona non conosciuta entrò nel condominio di via Garibaldi 52.
Ma Veronica avrebbe mentito non solo sugli orari e sugli spostamenti. Agli investigatori ha detto di non conoscere il Mulino Vecchio, dove è stato trovato suo figlio morto. E invece la sorella ha raccontato agli inquirenti che proprio a 50 metri da quel posto c’era una fontana dove la loro famiglia, quando erano piccole, andava a prendere l’acqua. Visto che i Panarello abitavano a meno di due chilometri da lì. Secondo la ricostruzione della Procura quel maledetto sabato Veronica torna a casa dopo aver lasciato il figlio piccolo alla ludoteca alle 8,49. Per 36 minuti resta sola con Loris e, per gli investigatori, ammazza il piccolo «aggredendolo mediante azione di strangolamento» con una «fascetta stringicavo in plastica».
Poi, alle 9,25, lo carica in auto, passando dalle scale interne e dal garage e si dirige verso il Mulino: una telecamera la riprende «che svolta sulla strada poderale» che porta al punto dove è stato trovato il corpicino. Veronica dice di non esser mai passata di là ma di aver fatto un altro giro per andare a buttare il sacchetto della spazzatura. Ma quando gli investigatori hanno rifatto il percorso indicato con lei, ci hanno messo 5 minuti e 33 secondi meno del tempo che ci ha messo quel sabato mattina la mamma di Loris. Un tempo, scrivono i pm, «compatibile con il raggiungimento della zona del Mulino Vecchio, l’abbandono del corpo e il rientro sulla strada». L’omicidio, però, almeno per il momento resta senza movente: in nessuna delle 25 pagine del provvedimento di fermo si fa mai riferimento alla ragione per cui Veronica avrebbe ucciso suo figlio.
«La mia assistita è estranea ai fatti che le vengono contestati – continua a dire l’avvocato Francesco Villardita – anche oggi (ieri per chi legge ndr) ha ripetuto sempre la stessa versione. E dunque è serena». Lei non c’entra: «Infatti si è sottoposta spontaneamente a un prelievo del dna, attraverso un tampone salivare», prosegue il legale. Secondo cui, inoltre, non è affatto vero che Loris è tornato a casa invece di salire in auto con la mamma: «Dal filmato visionato con la mia assistita non si riconosce nessuno. E abbiamo prove testimoniali che dimostrano che il bambino è stato accompagnato a scuola». Villardita fa riferimento alla testimonianza di una vigilessa le cui dichiarazioni, però, la Procura ritiene «altamente contraddittorie». Sarà il gip a valutare nell’udienza di convalida del fermo, che dovrà essere fissata entro stasera. In attesa di quel momento, Veronica è stata portata in carcere a Catania, dove è stata messa in isolamento e viene controllata a vista. Quando è uscita dalla Questura di Ragusa, la gente le ha urlato «Vergogna», ma quando è arrivata al carcere di Catania le è andata peggio. Le urla dei detenuti si sono sentite anche fuori dalle mura della prigione di piazza Lanza: «Assassina, assassina, devi morire».