Vittima di violenza domestica, Karima trova il coraggio di denunciare il compagno tunisino, che oltre a picchiarla ha sperperato tutti i suoi risparmi. Lui viene allontanato. Lei rimane sola, ma non ha più nulla in banca, e non riesce a pagare l’affitto nonostante la conduzione di un pubblico esercizio. Ecco allora lo sfratto dall’appartamento di via Varchi 14. Come messaggio di addio, i condomini le fanno trovare nella cassetta delle lettere un biglietto non firmato e carico di insulti razzisti e frasi come «qui non sei mai stata la benvenuta. Finalmente tornerà la pace dopo che te ne sarai andata. Vi auguriamo di andare a vivere sotto i ponti. Tornatevene al vostro Paese. Vi auguriamo di morire. Finalmente vi hanno sbattuto in mezzo alla strada».
Ieri la donna protagonista di questa brutta storia – che si chiama Karima Hasnaoui ed è algerina – si è rivolta al sindaco Davide Galimberti per chiedere un alloggio. Dal 2 gennaio, giorno in cui è stata sfrattata, vive all’hotel Stelvio, con difficoltà sempre maggiori a trovare 50 euro al giorno per pagare la stanza.
«Una volta ero una “sciura” – ricostruisce Karima – Poi sono stata ridotta in povertà da un uomo terribile, che non ha mai lavorato e che ho dovuto mantenere per sei anni, sopportando umiliazioni e percosse. All’inizio lo perdonavo. Poi ho trovato il coraggio di dire basta e l’ho denunciato. Quell’uomo mi ha distrutto. Adesso è in corso il processo, proprio ieri si è tenuta un’udienza. Lui non si può più avvicinare a me, ma sarei più contenta di saperlo in Tunisia invece che a Varese».
L’appartamento di via Varchi è stato testimone di molte violenze. «Il mio compagno, quando era in preda all’alcol, si faceva prendere da veri e propri scatti d’ira, lanciava sassi sulle tapparelle, buttava le cose in giro, parecchie volte i vicini di casa hanno chiamato le forze dell’ordine» ricostruisce la donna.
Il biglietto carico di frasi razziste è stato trovato nella cassetta delle lettere il giorno dello sfratto, come messaggio di addio. Come una beffa, il biglietto è arrivato al termine di un percorso di rivincita intrapreso da Karima. Un ulteriore schiaffo per una donna che ha avuto la forza di chiudere una relazione malata e di riprendere in mano la sua vita. «Le frasi razziste mi hanno fatto molto male, ma io non perdo la fiducia nel futuro» dice la donna, che è nel nostro Paese da 25 anni e che ha la cittadinanza italiana.
Karima ha in gestione da 15 anni il bar La Coccinella di viale Borri 5. L’attività, però, non è fiorente e non le consente di pagare un affitto pieno: «Anche qui il mio compagno ci ha messo del suo per farmi del male, è capitato che trattasse male i clienti. Alcuni non sono mai più venuti qui dopo aver assistito alle sue sfuriate. Una volta lavoravo bene, poi le cose sono cambiate. Temo di arrivare a perdere anche questa attività».
La donna ha dunque fatto domanda per le case Aler e del comune di Varese, ma il bando con le graduatorie uscirà solo alla fine di febbraio. E nel frattempo dove andrà a vivere? «Per quanto riguarda il bando, dovrei essere in buona posizione in graduatoria perché ho a carico una sorella disabile che in queste settimane è affidata agli assistenti sociali – conclude la donna – Chissà, magari esiste a Varese una persona di buon cuore che ha un appartamento sfitto che mi può
far utilizzare fino a quando non mi verrà assegnato un alloggio pubblico. Con me ho anche un figlio, avuto da una precedente relazione con un uomo italiano, che ha 19 anni e che studia all’Itpa. È anche per i miei figli (che sono due, di cui uno affidato al padre) che sogno un futuro diverso e che cerco un po’ di tranquillità. Spero che qualcuno “di umano” si faccia avanti per aiutarci».