Francesco Ceniti è un giornalista della Gazzetta dello Sport che ormai da qualche anno segue passo per passo le vicende relative alle inchieste su Marco Pantani. Ceniti è uno di quei giornalisti, assieme a Dezan, Mura, Brunel, Jacobelli, De Stefano, che potrebbe tranquillamente alzare la mano e dire: «Io ve l’avevo detto che qualcosa non andava». Anzi, e soprattutto, lo aveva scritto nel suo libro “In nome di Marco”, opera a quattro mani con mamma Tonina Pantani.
Un libro che Ceniti presentò il 25 marzo del 2014 allo Spazio Lavit di via degli Uberti, qui a Varese. Un libro che riporta in superficie tante verità insabbiate, svariati vizi di forma che avrebbero cambiato le carte in tavola se fossero stati scoperti anni fa. Un libro che ripercorre minuziosamente ogni dettaglio, denuncia ogni errore di giudizio, a partire proprio dal controllo antidoping che inchiodò Pantani il 5 giugno 1999 a Madonna di Campiglio. Tutto iniziò da lì, infatti, da un controllo che doveva essere annullato, in quanto viziato da gravi errori dei commissari. E gli stessi commissari, interrogati da Ceniti, ammisero l’errore. E ora, a distanza di diciassette lunghi anni, capiamo il perché. «Quel libro aveva inizialmente lo scopo di parlare di Marco in un modo diverso e di ricordarci quanto ci mancava nonostante si fosse scritto malissimo su di lui» esordisce al telefono Ceniti.
«Rileggendo alcuni documenti poi, e rivedendo quanto accaduto ad Armstrong, faceva ancora più male. La mia idea scrivendo quel libro e documentandomi era che fosse stata fatta passare una verità di comodo, il colmo per un atleta come lui. Ridare dignità a Marco divenne poi la molla in più per scrivere quel libro assieme a mamma Tonina. Se si riguardano meglio le carte di quegli anni, soprattutto sulla morte di Campiglio, poco alla volta si scopre che c’è
un’altra verità che ora sta venendo fuori. Però gli anni hanno lasciato un segno, che in questo caso è la prescrizione, e le indagini si devono fermare». La rivelazione della Procura di Forlì però è importante, scottante: «Il pm Sottani dice che è credibile che la camorra abbia alterato quei controlli, dando conferma ad una cosa che fino a qualche anno fa sembrava una boutade, una fantasia legata ad un racconto senza riscontri di Vallanzasca. Ecco, abbiamo scoperto che non è così». Ceniti ha lavorato sodo affinché si arrivasse ad una nuova verità.
«Più che crederci, speravo che prima o poi qualcosa venisse fuori. Nelle cose bisogna crederci sempre, anche se è difficile che le inchieste vengano riaperte. In questo caso è accaduto dopo tanto tempo e dopo tanti nuovi dettagli, fa piacere che accada, perché conferma quello che abbiamo dichiarato per molto tempo, insistendo, parlando con le persone». E ora cosa succede? «La Procura di Forlì ha lavorato in modo egregio, però ora non può andare oltre perché c’è una richiesta di archiviazione. Ho letto che alcuni deputati del Pd hanno chiesto ai magistrati di ascoltare l’antimafia sulla questione, per capire se c’è ancora margine di lavoro. E’ uno spiraglio ma è già qualcosa, la famiglia si opporrà all’archiviazione cercando di provare anche l’estorsione, che allungherebbe a venti gli anni per la prescrizione. Alla fine però resta il fatto che aveva ragione Marco, quando diceva che lo avevano fregato». Le nuove rivelazioni su Campiglio potrebbero aprire a nuovi scenari sull’inchiesta di Rimini: «Il Gip deve decidere se continuare o meno le indagini, qualche correlazione tra le due cose ci può essere. Pantani in quegli anni ha sempre sostenuto di voler scoprire chi lo aveva fregato, guarda caso la camorra era presente a Rimini con Miradossa, lo spacciatore che fornì a Marco la cocaina. Forse qualche approfondimento anche in questa direzione si può fare».