Ecco perché il Pirata si merita queste pagine sul nostro giornale

L’editoriale del nostro Francesco Caielli

Ma davvero avete fatto una passante su Pantani? No, non una: due. Una sul giornale di ieri e una su quello di oggi. E di perché non ce n’è uno solo, ma ce ne sono tanti e tutti validi. Eccoli.
Perché glielo dobbiamo: per restituire attraverso il racconto della verità un millesimo delle emozioni che lui ci ha regalato con le sue imprese, con le sue salite, con le sue cadute, con i suoi trionfi. Scrivere di Pantani è

un dovere, un onore, un privilegio.
Perché è vero che siamo un quotidiano locale ma è altrettanto vero che uno come il Pirata non ha casa ed è di tutti. E nelle nostre avventure su e giù per le salite del Giro – sui tornanti del Mortirolo o nella bufera di Plan de Corones – abbiamo sempre incontrato almeno un varesino con qualcosa di giallo addosso e l’occhio lucido nel parlare di Marco.
Perché abbiamo sete di verità, sempre: e ne abbiamo ancora di più quando le troppe bugie si sono portate via un mito della nostra gioventù, un eroe giovane e bello, uno che abbiamo creduto immortale perché ci hanno insegnato che gli eroi non possono morire.
Perché è proprio in quei giorni, su quelle salite, in mezzo a quelle imprese, spinti da quelle emozioni che abbiamo iniziato a sognare di fare questo mestiere. Di poter raccontare storie così, di poter mettere sul giornale la pelle d’oca che viene su quando si assiste allo spettacolo più alto che lo sport possa offrire.
Perché, e sappiamo di dire una cosa forte, il ciclismo è lo sport più pulito del mondo: ha accettato di guardarsi dentro, ha fatto i conti con i suoi errori e li ha riconosciuti, raduna milioni di persone sulle strade dopo tutto quello che gli è passato sopra. E le notizie di questi giorni ci confermano che il marcio vero sta sopra la testa dei corridori, non nelle loro vene.
Perché Pantani potevano fermarlo solo così: non sulle strade, non in salita, non in sella a una bicicletta. Ma barando, mentendo, travisando. Uccidendo.
Perché quella mattina sulle rampe del Mortirolo c’era un mondo intero, tutto per lui. Un mondo che è lì, fermo, da diciassette anni: ad aspettare. Che passi Marco? Forse. Che passi finalmente la verità sul motivo per cui quel giorno il Pirata è rimasto a terra? Sicuro.
Perché siamo stufi di litigare, discutere, incazzarci, rovinarci serate: ogni volta che si parla di Pantani e apriamo il cuore alle nostre emozioni salta sempre su qualche imbecille a dire che era “solo un drogato”. Ecco, adesso rimangiatevi tutto e chiedete scusa: maledetti.
Perché per anni si è cercato di far passare per deficienti visionari tutti quelli – da mamma Tonina in giù – che urlavano i loro dubbi e la loro paura. “Me l’hanno ammazzato” diceva, e aveva ragione da vendere.
Perché leggendo di Pantani, tante volte, ci siamo vergognati di far parte della categoria dei giornalisti.
Perché la storia del ciclismo non ha mai vissuto una storia tanto assurda e ingiusta, tanto maledetta. E allora le nostre pagine le dobbiamo al Pirata ma le dobbiamo pure a tutti quelli che il ciclismo, nonostante tutto, lo amano per davvero.