Argomento più importante, più significativo e più attuale di quello che oggi trattiamo non potrebbe esserci. E ha cento anni, anzi ormai già più di cento anni, l’Ospedale di Circolo di Busto Arsizio, che funge da riferimento sicuro e ricco di speranza per i cittadini dell’intero Altomilanese, in particolar modo per Busto Arsizio e la Valle Olona, e grazie all’eccellenza, alla qualità, allo spirito tecnico, professionale e umano dei molti professori, medici, infermieri e volontari che in questo secolo si sono succeduti,
anche per persone che vengono da tutta Italia, dall’Europa e persino da Oltreoceano. Ma oggi parliamo di un sogno. Un sogno che solo l’incapacità, la miopia, l’inerzia o lo stupido conservatorismo dei politicanti d’accatto, che hanno dimenticato per troppi anni la necessità, come spesso ricordiamo su queste pagine, di essere fedeli alla nostra migliore tradizione per consentire al nostro passato di avere uno slancio vincente nelle sfide del presente e del futuro, non hanno ancora permesso di centrare. Ora finalmente, dopo anni in cui l’umile sottoscritto, ma anche alcuni illuminati operatori sanitari e molti cittadini, avevano auspicato che si superasse il campanilismo deteriore e figlio troppo spesso della necessità di dividere per imperare, siamo ad un passo dalla realizzazione di un progetto che potremmo definire, finalmente, una restituzione del cervello alla passione del cuore.
Sì, perché grazie alla riforma sanitaria, che il governatore Roberto Maroni ha voluto mettere in gioco nell’estate scorsa come legittima evoluzione della più importante riforma sanitaria italiana, quella a cui nel mio piccolo ebbi di modo di contribuire nell’ormai lontano 1997, esistono i presupposti per consentire che ciò che è stato frutto in passato solo e unicamente della lungimiranza dei bustocchi, della generosità della Scuola dei Poveri di Busto e, insieme, della capacità di fare rete e fattor comune di tutti i ceti della Busto Grande del 1800, e insieme delle forze imprenditoriali del territorio, cioè la creazione dal basso di un ospedale che sostituisse l’antico cronicario di Palazzo Gilardoni, può tornare a essere la spinta per creare un ospedale del Terzo millennio.
Una eccellenza ospedaliera in grado di servire l’area a nord-ovest di Milano, l’area dell’Altomilanese e l’area del Basso Varesotto, in uno con l’affascinante prospettiva di Human Technopole nell’area Expo, ma soprattutto sapendo l’ospedale al centro di una rete socio-sanitaria che pone, così come fecero in passato i migliori bustocchi in rappresentanza della volontà di servire l’uomo come centro e come fine dei propri impegni, in grado di dare fiducia e speranza anche a chi oggi è momentaneamente chiamato a ricoprire ruoli istituzionali di responsabilità.
Ebbene, fu quasi un miracolo nell’estate scorsa, quando grazie alla grande forza di volontà dell’amministrazione di Busto Arsizio, al coraggio dei dirigenti sanitari di Busto e Gallarate, ma soprattutto grazie alla capacità dei consiglieri regionali di non chiudersi in una decisione calata dall’alto e generata dagli algoritmi di “gianniniana” memoria, sapendo dare ascolto alle esigenze che venivano dai sindaci, dai medici e dalla Fondazione Carnaghi e Brusatori, si riuscì, sia pure in limine vitae, a costituire l’azienda sociosanitaria territoriale unica di Busto Arsizio e Gallarate. Perché fino a che fossero rimaste queste due aziende separate, il sogno, la capacità di fare economie di scala ma soprattutto di superare la antistorica divisione di due ospedali, eccellenti sì ma ormai stretti sia dal punto di vista urbanistico che dal punto di vista della domanda socio-sanitaria nel confine non ampliabile della loro urbana collocazione, avrebbero finito con l’accompagnarsi verso una eutanasia lenta, inesorabile e senza via d’uscita.
Nessun egoismo, serve unione
Benissimo hanno fatto i neo sindaci, Emanuele Antonelli e Andrea Cassani, a cogliere e recuperare quell’intuizione che dieci anni fa promosse e propose a tutti i livelli la promozione di un centro ospedaliero d’eccellenza unico dell’Altomilanese e del Basso Varesotto. Novità assoluta nello scenario nazionale e regionale: due sindaci che accettano la sfida di superare il proprio piccolo ospedale per costruire insieme un grande centro ospedaliero che serva davvero non l’egoismo di pochi, non la volontà di carriera di molti, ma lo spesso inesprimibile bisogno della collettività. Ed ecco perché siamo contentissimi, dalle colonne de La Provincia di Busto-La Busto del Futuro, di ospitare oggi il primo vero e trasparente dibattito pubblico che non si limiti a questioni immobiliari, che non si fermi a questioni procedurali o burocratiche, che non si fermi nemmeno alla necessità di trovare l’area, ma che proponga di fare un grande accordo di programma in cui giochino un ruolo almeno i due comuni dell’Area Vasta, della Provincia di Varese o di qualsiasi cosa questo pessimo riformismo costituzionale ci lascerà in eredità, ma ancor di più Regione Lombardia, con le aziende socio-sanitarie e le agenzie di tutela della salute, e, perché no?, anche la Fondazione Istituto Insubrico di Ricerca sulla Vita, che troppi hanno dimenticato e che noi, come Comune di Busto Arsizio, possiamo vantarci di esserne stati orgogliosamente fondatori, di qualcosa che non ubbidiva solo alla gestione del quotidiano ma che rispondeva – come è dovere per ogni uomo che ama il suo popolo e guardi al futuro e non all’incipiente scadenza delle elezioni amministrative, politiche o regionali – al bene del territorio. Che non può prescindere dalla prevenzione, non può prescindere dall’eccellenza sanitaria, non può prescindere dalla capacità di assistere i sempre più percentualmente gravanti anziani necessitanti di politiche di riabilitazione, di attenzione, di accompagnamento. E allora, finalmente, abbandoniamo le logiche di campanile, che sono sì importanti per riaffermare un’appartenenza, ma ricordiamo che il campanile di Busto Arsizio, i suoi rintocchi li ha sempre fatti per chiamare a raccolta il bene comune.
Li ha sempre intesi come chiamata, non a realizzare all’interno dei propri confini qualcosa per sé stesso, ma a disegnare ipotesi e prospettive di futuro per noi e per le prossime generazioni. Per chi suona la campana? Suona per i sindaci, suona per i consiglieri, suona per le forze imprenditoriali e sociali, suona per le aziende sociosanitarie territoriali, suona per la Fondazione Istituto Insubrico di Ricerca sulla Vita. Ma suona soprattutto per chi non cerca gloria per se, per chi non cerca un appalto plurimilionario, per chi non si limita all’ubicazione, ma persegue un disegno. Un disegno complessivo con al centro l’uomo e con l’uomo come fine. Cme sempre a Busto Arsizio, come sempre con la protezione della Madonna dell’Aiuto, come sempre con la spinta dell’intraprendenza, della lungimiranza e anche della generosità, chi può dimenticare che Busto Arsizio fondò l’aeroporto di Malpensa fuori dai propri confini? Non lo fece per sé, lo fece per tutti e solo l’insipienza e l’incapacità di classi politiche deteriori che hanno fatto una piccola battaglia di campanile tra gli aeroporti di Linate e Malpensa ha pregiudicato i suoi importanti effetti. E chi può dimenticare che Busto Arsizio ha costruito la Mostra Internazionale del Tessile, e la fece al di fuori dei propri confini? Ma la fece per tutti, per i bustocchi e i non bustocchi. Insomma, non lasciamo perdere questo sogno, non lasciamo perdere questo progetto. Ripeto quel che Rita Levi Montalcini, che ebbi l’onore, la gloria e la grazia di incontrare un giorno a Varese, mi disse: “Occorre avere lungimiranza, occorre avere intelligenza, oppure rendere sostenibile ciò che è intelligente e lungimirante”. E aggiunse: “È vero, Farioli, il progetto è il dono che il cervello restituisce al cuore”. E allora, buttiamo il cuore al di là dell’ostacolo, ma mettiamoci cervello e capacità di decidere. Questa forse è l’ultima chiamata: chi risponderà sì, sarà ben accetto. La Provincia di Busto, e il sottoscritto, rispondono presente.