VARESE Il 26 aprile 2009 il Varese di Beppe Sannino perdeva a Vercelli ma lo faceva con i Moreau, i Camisa, i Bernardini, i Dos santos, i Milanese, i Lepore, i Del Sante. Non avevano i nomi sulla maglia e i conti in banca dei Bressan, dei Ferreira Pinto, dei Kone e dei Troest, ma qualcosa di più e di meglio. Avevano la nostra pelle, biancorossa, e i sogni che fanno correre più veloce dei soldi.
E veniamo all’incomprensibile turn-over di Fabrizio Castori, che ha estromesso cinque undicesimi – vabbé, quattro, Bastianoni era squalificato – della formazione che aveva giocato (bene, a tratti) con il Livorno. Un suicidio. Innanzitutto: prima vinci, e poi fai turn-over. Secondo: la Pro Vercelli nelle ultime cinque sconfitte ha giocato con più cuore di tutto il Varese visto ieri (e anche l’altro ieri), quindi rispetto. Terzo: i luoghi comuni (le tre partite in otto giorni) e i calcoli (quello è
stanco e quello no) non hanno mai fatto parte del dna biancorosso (siamo l’opposto: vento, non tabelle. E giocatori che muoiono in campo pure su una gamba sola: preservarli da cosa, dalle tue paure?). Come se la squadra fosse da gestire come l’ex Unione Sovietica e i giocatori fossero tutti uguali, senza volto e senza nome. Ma dove, ma quando. Corti non ha eguali. Meglio un Corti morto (o un mignolo di Zecchin: siamo ancora qui a chiederci perché mai sia stato escluso a Padova) di questi morti che camminano.
Detto ciò, Fabrizio Castori ha svolto il suo lavoro: salvare il Varese e mantenerlo in zona tranquilla. Questo è il suo massimo e con quello che aveva a disposizione evidentemente non era in grado di fare di più. Per l’impresa serviva ben altro. Magari un arrogante ambizioso: avrebbe rischiato l’esonero dopo cinque giornate, o adesso staremmo sfiorando il cielo con un dito. Sicuramente Castori non ha deluso, se non tifosi occasionali che pensano che questa squadra non può non andare in A. Al massimo ha illuso chi pensava che fosse entrato nello spirito del Varese. Invece prima ha voluto fare il Castori, e poi l’allenatore del Varese. Se si voleva pensare in grande, bisognava muoversi prima e crederci. E non certo con Kink, Scapuzzi e Carrozzieri. Sicuramente con Nadarevic e Grillo.
Andrea Confalonieri
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