Caro direttore, ieri è arrivata la conferma che il 4 dicembre non si voterà sulla riforma della Costituzione. E neppure, per via indiretta, sulla nuova legge elettorale, che pure con la riforma c’entra zero, ma dai sostenitori del no viene ritenuta ad essa collegata. Il 4 dicembre si voterà su Matteo Renzi e basta. Sulle sue doti simpatiche o sui suoi antipatici difetti. Tra le prime o i secondi, in base ai gusti di ciascuno, c’è
il fatto d’aver dato vita all’attuale governo. Dunque votando Renzi o non votandolo, si voterà o non si voterà per la vita o la morte dell’esecutivo. La conferma è venuta dalle dichiarazioni rese da Bersani, leader della minoranza Pd, in un’intervista al Corriere della Sera. Dopo aver ottenuto di ridiscutere la legge elettorale col premier, facendo intendere che una sua modifica avrebbe convinto al sì referendario gli oppositori Democrats, l’ex leader ha definito inutile lo svolgersi della direzione di partito prevista oggi per esaminare la richiesta.
Spiegando, assieme con l’annuncio del suo no: Renzi è capace solo di far chiacchiere, non c’è mai stata la possibilità di entrare in concreto nel confronto. Vero, non vero? Di sicuro questa possibilità, ammesso che non sia esistita in passato, lo sarebbe stata nel presente. Oggi. Ma Bersani ha preferito scartarla. Le conclusioni sembrano evidenti: non è importante il merito del referendum, è importantissimo cogliere la circostanza per mandare a casa il presidente del Consiglio. Politicamente, tutto legittimo. Eticamente, molto meno.
Praticamente, un uso personale dell’occasione di cambiare il Paese. Per poco e male (ma sarà poi così poco e così male?) che sia possibile cambiarlo.