Tra le pagine del “Diario” (Adelphi) di Guido Morselli, in mezzo agli appunti del giugno 1942, troviamo questa annotazione, significativa, tratta da Andrè Breton: «una poesia deve essere una disfatta dell’intelletto. Nient’altro».
Guido Morselli – di cui domenica 9 aprile, al Salone Estense, alle 16.30 andrà in scena uno spettacolo teatrale tratto da una sua pièce inedita “Marx: rottura verso l’uomo”, a cura di STCV “Anna Bonomi” – era anzitutto un intellettuale, con una profonda e autentica passione per la filosofia. Era nato a Bologna nell’agosto del 1912, ma poi aveva vissuto a Milano, si era laureato in Giurisprudenza, frequentando di nascosto le lezioni di Estetica del filosofo milanese Antonio Banfi, già suo professore al Liceo Parini.
Si può, seppur timidamente, sostenere che la scarsa fiducia nutrita dal filosofo milanese Antonio Banfi, mentore di Morselli, nei confronti della poesia, guardata con sospetto, drammaticamente disincentivata nell’altro suo eccellente allievo, Vittorio Sereni, sia stata trasmessa anche a Guido Morselli.
Poche e significative le poesie, quasi un esercizio dal gusto crepuscolare, in cui emergono i suoni e gli odori “di morticini” degli “alberghini” del Varesotto, edite nel “Diario”, opera in cui si rintraccia, invece, come del resto nell’intera opera narrativa, il gusto per l’aforisma e il paradosso, insieme ad una precisione di lessico che si accompagna alla vivacità originale della creazione di neologismi, come i celebri “uonna”, modernissima sintesi tra uomo e donna, fobantropo” e “nittalopo”,
e ad una importante ricerca linguistica, da cui non sono esclusi i forestierismi. “Come la poesia, così la filosofia deve crescere in margine alla vita, e cioè essere riflessione sulla vita, la saggezza che affiora sull’esperienza. Questo è il significato dell’adagio «primum vivere» (che gli uomini pratici hanno sviato come se significasse che il riflettere è una faccenda di seconda – o di nessuna – importanza)”, scrive Morselli il 3 maggio 1963, ponendo sullo stesso piano filosofia e poesia, come frutti dell’esistenza. Sono gli aforismi, in cui la passione della filosofia si nasconde dentro la creazione letteraria, dunque, più che i versi, frequentati dallo scrittore gaviratese. Interessanti e attualissimi come quelli dedicati alla natura: “La natura è una musica alla quale gli uomini sono quasi sempre sordi”, oppure esistenziali: “Chi sa ascoltarsi vive più vite. Per chi attinge alla propria sensibilità profonda, il passato non è mai morto; non solo, ma la sua vita presente si dilata immensamente di là dai suoi limiti apparenti, ad abbracciare numerose esperienze”, così come: “Tutta la nostra esperienza interiore è il gioco di due fattori: la memoria (il passato), l’angoscia (il presente)” e “Sono orgoglioso (è forse il mio unico orgoglio) di sentirmi, in male e in bene, un riepilogo degli uomini”. «Ma l’aforisma di Morselli – sottolinea giustamente Gianmarco Gaspari nel suo prezioso saggio all’interno dell’antologia “Guido Morselli: un Gattopardo del Nord” – ha una propria identità, complessa e articolata, dove erudizione, ironia e cinismo spingono il paradosso a farsi, come si è visto, strumento conoscitivo: il che implica una fiducia nella parola altrimenti impensabile». Morselli dedica anche una riflessione all’Italia: «un paese adorabile che meriterebbe d’essere meglio abitato”, e alla sua città, il 14 marzo 1948, in un breve dialogo emblematico: “Ho chiesto alla Ghezzi: “Sai cos’è l’Italia?”. “L’Italia è Varese” mi ha risposto».