«Hélène, hai sentito cos’è successo a Bruxelles? Sembra ci siano state delle esplosioni». Non era una domanda come tante, quella che ha rivolto a martedì mattina durante una normale seduta di fisioterapia. Perché per Rousseaux, la parola “Bruxelles” significa casa, genitori, amici. La schiacciatrice dell’Unendo Yamamay è nata venticinque anni fa a Jette, sobborgo della capitale belga in cui è situata la casa-museo di Renè Magritte, il genio del Surrealismo. Ma di surreale e onirico, purtroppo, in quel che è successo all’aeroporto di Zaventem e alla stazione della metro di Maalbeek, c’è ben poco.
È tutto tragicamente vero e concreto. «Appena ho saputo dell’attentato, ho telefonato subito a mia mamma, ma il telefono non prendeva – ricorda Rousseaux – Mia madre insegna in una scuola che si trova proprio nelle vicinanze della metropolitana di Maalbeek: sono stati momenti di paura. Per fortuna, qualche minuto dopo, mio fratello Tomas, che gioca nel Volley Milano, è riuscito a mettersi in contatto con lei e mi ha tranquillizzato, la mamma stava bene.
È rimasta tutto il giorno a scuola perché uscire sarebbe stato troppo pericoloso. Solo in serata ha potuto tornare a casa. Nei prossimi giorni non lavorerà, le scuole per il momento sono chiuse». La mamma di Hélène è stata in Italia fino a qualche giorno fa. «È rientrata in Belgio lunedì, atterrando a Zaventem: non voglio neanche pensare a cosa sarebbe potuto succedere, se fosse partita il giorno dopo». Parenti e amici stanno bene, ma resta una ferita bruciante nel cuore: «Siamo tutti traumatizzati – continua l’atleta biancorossa – Gli attentati di Parigi mi avevano sconvolto, ma vedere i terroristi in azione nella tua città, beh, è un’altra cosa: terribile e indescrivibile. Non ce l’aspettavamo, non eravamo particolarmente preoccupati, anche perché la città era ben presidiata da poliziotti e militari. Ci sentivamo al sicuro. E poi non si può vivere nell’attesa che succeda una cosa del genere, altrimenti l’ansia ti divora».
Certo, ricorda Rousseaux, «alcuni quartieri non sono mai stati particolarmente raccomandabili: penso a Molenbeek, o a Schaerbeek, ma questi erano posti malfamati anche prima che il terrorismo si diffondesse in Europa». Oggi il Belgio è una nazione ferita, ma pronta a reagire con orgoglio: «Per ora sono in contatto diretto solo con la mia famiglia, per il resto guardo la tv e vedo gli amici su Facebook: ma vi assicuro che siamo tutti uniti, fieri di essere belgi – garantisce Hélène – Il mio paese sta reagendo in modo compatto, e non accetterà mai di farsi intimidire dai terroristi. Ne parlavo prima con mio fratello: nonostante tutti i pericoli, io in questo momento vorrei essere a Bruxelles, con la mia famiglia, i miei amici. Sì, vorrei essere lì con loro, per non lasciarli soli in queste ore così difficili». Beninteso, l’orgoglio non è sinonimo di temerarietà o incoscienza: «Anch’io in futuro mi chiederò se sia meglio tornare a casa in aereo o in auto». Ma c’è ancora tempo: «Rientrerò in Belgio solo quando sarà finita la nostra stagione, non prima. Adesso dobbiamo concentrarci sui nostri obiettivi sportivi. Certo, confesso che la giornata di martedì non è stata facile per me. Anche durante l’allenamento ho pensato alla mia città attaccata dai terroristi. Ma la pallavolo è il mio lavoro, e devo concentrarmi su quello, per rispetto della mia società. Le mie compagne sono state molto gentili, mi sono vicine, e hanno voluto posare in foto con me e la bandiera belga». Rousseaux non ha dubbi: il Belgio ne uscirà più forte di prima: «Bruxelles è la capitale d’Europa, e non lo è per caso. Noi non abbiamo paura. E ne verremo fuori tutti insieme».