«Siamo tutti Kristjan Kangur»

Stefano Coppa dopo la vittoria con Roma che ha interrotto il digiuno e scacciato l’incubo retrocessione: «L’estone decisivo pur con i punti di sutura in testa? Lui e Kuba sono ciò che dovremmo sempre essere»

Serenità, prima di tutto. La stessa che prova il naufrago nel momento in cui scorge uno lembo di terra dopo giorni in balia delle onde, una visione che dagli occhi si propaga al cuore infondendogli la linfa vitale della speranza. Consapevolezza di non potersi fermare, poi. Quella che nasce dall’aver preso coscienza dei propri nuovi e forse insperati mezzi: l’uomo in mare ha la salvezza a portata di mano, ha capito di essere in grado di raggiungerla. Ma non può smettere di nuotare, non ancora.

Stefano Coppa: le sensazioni del “day after” sono racchiuse in questa metafora. La vittoria contro Roma è stata un banchetto dopo un digiuno lungo e faticoso; le parole suonano meritatamente e finalmente dolci: «Sono decisamente più sereno – esordisce il presidente – Vincere è stato fondamentale per i due punti, molto importanti anche alla luce della concomitante sconfitta di Caserta. C’è voluto un supplementare, è vero, e non è mai bene esaltarsi troppo: dopo quello che abbiamo passato,

però, non posso che definire ottima questa conquista».
Il campo ha parlato chiaro, per una volta con gli acuti di tanti protagonisti che sono sembrati rinati e non con il silenzio di prestazioni da mutismo tecnico: «Ho visto giocatori che hanno recuperato una condizione simile a quella pre-infortunio. Penso a Diawara, penso a Kangur ritornato a essere regista occulto, alla crescita di Maynor che nei momenti difficili ha fatto le scelte giuste. Parte delle nostre fortune dipendono dal suo rendimento: finora nel male, da ieri speriamo nel bene. Infine c’è stato anche un ottimo Eyenga, il quale ha capito che la sua vera arma risiede nell’attaccare il canestro».
Senza voler far torto a nessuno – le braccia alzate di domenica sono sicuramente figlie di una ritrovata e convincente dimensione collettiva – per la copertina di giornata scegliamo l’estone dagli occhi di ghiaccio. Maglia sporca di sangue, punti in testa e turbante da nosocomio più che da beduino, il suo sacrificio illumina la strada: «Lui e Diawara incarnano lo spirito che questa squadra dovrebbe sempre avere – continua Coppa – Non si deve vivere di cose effimere, ma del lavoro costante, della difesa coriacea, di tutto quello che c’era all’inizio del campionato e poi è sparito. Ho visto finalmente una squadra in linea con il livello dei suoi effettivi».

Non vorremmo sbagliarci, ma in tutto questo dovrebbe c’entrare – e anche tanto – un certo Attilio Caja. Sergente di ferro? No, generale: «La differenza è tutt’altro che banale. Il primo ti comanda a bacchetta, al secondo ti affidi. Caja sta facendo un ottimo lavoro, è autorevole e non autoritario, è vicino agli atleti e va incontro alle loro esigenze. Motiva la squadra, si adatta alle sue caratteristiche e sta facendo esattamente quello che gli avevamo chiesto. Una scelta davvero felice».
All’orizzonte si para una settimana di lavoro e poi lo scoglio del derby con Milano. Speranze? «La sfida è improponibile – conclude il numero uno di piazza Monte Grappa – ma da affrontare senza nulla da perdere. Ieri la gente è andata a casa contenta dal palazzetto: io vorrei che fosse fatto di tutto per continuare a rendere orgogliosi i nostri tifosi. Non dobbiamo sederci sugli allori: bisogna crescere ancora».