Eugenio Alafaci poco meno di due settimane fa ha portato a termine il suo quarto Giro d’Italia consecutivo con la maglia della Trek-Segafredo. Una faticaccia, trascorsa con la faccia al vento in testa al gruppo quando c’era da tirare, in fondo a faticare quando la strada si impennava ed entravano in scena gli uomini di classifica. Un Giro da gregario, da faticatore, da uomo di sacrificio, fil rouge della carriera di Eugenio Alafaci, 27 anni da Carnago. Ora per lui è il momento di riposare e di rimettersi in sesto: lunedì è stato operato alla schiena a Ferrara per un’ernia e dovrà osservare un lungo periodo di riposo.
Bene, sono a riposo quasi assoluto. Dovrò stare un mese senza bicicletta con il bustino alla schiena. Questo era comunque un intervento programmato da tempo con la squadra, eravamo d’accordo di farlo al termine del Giro d’Italia anche perché era necessario: una vertebra mi schiacciava il nervo e mi impediva di esprimermi al meglio in bicicletta.
Penso di poter risalire in bicicletta verso i primi di luglio, e lì capiremo quali sono le prime sensazioni. Con Adriano Baffi (uno dei direttori sportivi della Trek) abbiamo abbozzato un possibile rientro a fine luglio in Polonia, l’idea è anche quella di prendere parte al Colorado Classic in agosto (corsa a cui parteciperà anche Edward Ravasi).
No no, io l’ho trovata per la mia collezione e ho addirittura qualche doppia; anche i miei compagni di squadra mi hanno trovato. Durante il Giro ci siamo appassionati alla raccolta e dopo le tappe anche gli stranieri diventavano matti per cercare la loro. Devo dire che come iniziativa mi è piaciuta molto.
Ho concluso con soddisfazione questo Giro, e con la consapevolezza che è stato il Giro più duro che io abbia mai corso. È stata veramente una sofferenza, sia per la difficoltà del percorso che per l’andatura che il gruppo ha tenuto per tutte le tre settimane di corsa. Sono contento di non aver mollato, anche dopo la caduta sulla discesa del Pordoi: diverse volte mi è venuto il pensiero di ritirarmi, ma ho voluto proseguire e sono contento. Specialmente la terza settimana è stata tosta: tutte tappe da 3500/4000 metri di dislivello, affrontate a medie orarie impressionanti. Una terza settimana così dura, forse anche troppo, non si vedeva da tempo. La giornata del Mortirolo e dello Stelvio è stata di sicuro la tappa più dura di tutta la mia vita.
Dire che siamo soddisfatti sarebbe forse esagerare: l’obiettivo iniziale era la top 5 con Bauke Mollema, che invece ha chiuso al settimo posto finale. Ci è poi mancato l’acuto per una vittoria di tappa: nel giorno della fuga alla sesta tappa, quella conclusa alle Terme Luigiane, Stuyven ci è andato vicinissimo perdendo allo sprint con Dillier. Un successo lì avrebbe cambiato molto il nostro Giro. Poi la sfortuna si è accanita con Giacomo Nizzolo, che è arrivato in forma precaria e si è dovuto ritirare a metà, cogliendo comunque un terzo ed un quarto posto nei primi giorni.
In partenza assolutamente no, ma già a metà Giro si è capito che aveva ottime possibilità. Penso che nessuno più di lui lo avrebbe meritato e come me la pensano in tanti altri corridori. Era superiore agli altri ed è stato molto intelligente. Fisicamente negli anni ha avuto una grande trasformazione senza mai perdere il rapporto peso-potenza, che è la chiave nel ciclismo moderno.
Un’esperienza straordinaria, viverla al fianco di questi ragazzi mi ha permesso di capire cosa è davvero importante nella vita. Ho visto in loro la luce negli occhi per il solo fatto che fossimo presenti a giocare insieme. Se ci sarà modo, mi piacerebbe partecipare ancora ad iniziative di questo genere.