«Ho scelto questa vita perché amo la libertà». Una libertà fatta di camminate, di silenzi assordanti, di cieli sconfinati e anche di clacson, di curiosi, di persone che ti considerano fuori dal tempo a cui rispondere con una scrollata di spalle. Questo è Roberto Morandi, pastore di Bergamo originario di Cittiglio, che pratica la transumanza. Termine che indica la migrazione stagionale delle greggi dalle montagne verso le pianure, percorrendo le vie naturali e sfruttando le risorse foraggiere in modo differenziato a seconda delle stagioni.
In estate Morandi sta sull’alpeggio. Durante l’inverno conduce le pecore in pianura, ritagliandosi un percorso tra i campi. I comuni non sono obbligati a far passare i pastori transumanti, alcuni fanno addirittura ordinanze di divieto (non a Varese). Ogni prato deve essere reso disponibile dai proprietari, a cui i pastori devono chiedere il permesso.
«Di fatto le pecore svolgono un servizio perché tengono pulito il prato e lo concimano, ma è sempre più difficile trovare disponibilità di terreni in zone antropizzate» conferma il pastore, che è arrivato in questi giorni a Capolago. Starà un po’ tra la Schiranna e Calcinate del Pesce, poi si sposterà verso Malpensa. Successivamente, passando sul ponte di Turbigo, raggiungerà Vigevano, Pavia e Alessandria. «A quel punto sarà primavera – dice Morandi – I campi saranno coltivati e non potremo più ripetere la strada al ritorno, quindi i camion verranno a prendere il gregge e lo riporteranno in montagna».
Morandi è nato nel 1970, fa il pastore da 30 anni, in compagnia di un dipendente, quattro cani meticci, un cavallo e un asino. Una squadra affiatata e deputata ad accudire 1500 pecore, affrontando imprevisti di ogni tipo, sempre con le guance arrossate dal freddo, le mani screpolate e il sorriso sulle labbra. «Questo è il periodo in cui nascono gli agnelli; questa notte per esempio ne sono nati otto – racconta il pastore – Durante la transumanza i piccoli appena nati vengono adagiati nelle tasche di una mantella, sopra l’asino, in modo che rimangano al caldo e non rallentino il passo del gregge. Amo le mie pecore, altrimenti non farei questo lavoro».
Vedere il gregge in riva al lago di Varese fa pensare a un presepe vivente. Nell’aria si sente lo scampanellare dei campanacci. I cani si danno da fare per raggruppare gli ovini. Ogni tanto qualche curioso si ferma, fa le foto con il telefonino. Qualcuno si incanta a vedere le pecore che saltano e corrono sull’erba, nuvole bianche in mezzo al verde.
Quando cala la sera, il pastore si ritira nella sua roulotte, dove «fa freddo, ma in fondo si sta bene», aspettando che arrivi l’alba, quando sarà ora di mettere la testa fuori e vedere come stanno le pecore. Camminare, osservare, vigilare, difendere. La vita di Roberto Morandi è fatta di tutto questo, seguendo i ritmi della natura, rincorrendo orizzonti, senza limiti e steccati. Certo, non sono tutte rose e fiori: «toso le pecore due volte all’anno, ma la lana non la vendo: me la comprano a 20 centesimi al chilo ed è più la spesa dell’impresa».
Il sistema della transumanza – che ha anche un valore culturale, perché ricorda il momento in l’uomo ha cessato di essere cacciatore e ha iniziato ad allevare gli animali – si sostiene venendo gli agnelli ai macellai o eventualmente anche il latte e i formaggi.