Il concerto perfetto è quello che ti ricorda chi sei. E cosa sei diventato.
È quello che il giorno dopo ti spinge ad ascoltare di nascosto (perché stai lavorando) quella musica ancora e ancora. Come un tossico cerchi un paio di cuffiette qualunque, cerchi un collegamento internet, obblighi un collega a metterti almeno otto di quelle meraviglie su chiavetta (rivolgendo uno sguardo malevolo al cielo perché oggi le macchine non hanno più il Cd) perché sai che prima o poi salirai in auto e avrai 50 chilometri di assoluto piacere.
Il concerto perfetto i Radiohead l’hanno suonato l’altro ieri a Monza. Caldo, code lunghe ore per passare i (giusti) controlli anti terrorismo. Ancora caldo. Onesti supporter che fanno ballare soltanto i ragazzini al tuo fianco. Poi arriva il tramonto. E Tom Yorke e compagni salgono sul palco in un tramonto di fuoco circondati da centinaia di luci come se fossero circondati da lucciole. Due ore di poesia, paranoia, rabbia, sarcasmo e lucida lettura dei fatti. Due ore di Radiohead ti ricordano chi sei. Da dove viene e dove diavolo stai andando. Il suono è perfetto (come il concerto) arriva dritto alla bocca dello stomaco e vibra buttando fuori la voce. E scopri che, come te, anche i Radiohead hanno fatto pace con loro stessi. Il tempo passa e non è un caso che il concerto si apra con Daydreming che arriva da A moon shaped pool, l’ultimo album, quello della maturità. Ci sono 55 mila persone insieme a te ma tu sei solo. Solo con la musica: il concerto perfetto mette sul palco una band, non un frontman. Lo dice lo schermo ovale che scomponendo le immagini mostra, in frammenti, tutti i musicisti sul palco. Il carisma di Yorke è uno strumento per “servire il pubblico” come tutti gli altri “pensati” dalla mente musicale di Jonny Greenwood (il “fratellino” Colin suonava qualunque cosa: come diceva De Andrè date a gente così due noci e ne tireranno fuori una melodia). La band smonta e rimonta Idioteque. Exit Music (for a film) è un brivido. 2+2=5, la canzoni più politica dei Radiohed vede York lanciare un messaggio: “May, Tatcher, Trump fffffffu….”. E la chiusura è paraculissima: Creep (rinnegato pezzo dell’adolescenza non più suonato dal 2008, rimesso in scaletta in questo tour ma suonato 10 volte in 31 concerti) e Karma Police, l’inno della generazione X: “For a minute there I lost myself, I lost myself”. E invece di perderci questa volta ci siamo ritrovati. In due ore di rabbia, paranoia e poesia. In due ore di noi: esserci è stato un privilegio.