Più di una seconda pelle, l’incarnazione in un foglio di carta della propria anima, una vita con la faccia di un giornale e un nome che, solo a pronunciarlo, provoca amore, furore e a volte persino terrore: la Provincia di Varese. Ogni storia ha un inizio, e a volte una fine inaspettata: è il nostro caso. Da domani questa squadra avrà un altro capitano, “Confagol” si allontana perché a volte la vita è anche questa: t’innamori
di qualcuno, ma l’amore – forse il troppo amore – alla lunga non basta per continuare a vivere assieme. Questo è un saluto non voluto, doloroso, necessario ma non un addio. Undici anni di Provincia lasciano il segno, scavano dentro: dalle bicchierate di vino rosso, pane e salame del 2005 in un’angolo buio di un’ex vineria di via Carrobbio, quando pensavano tutti di “mangiarsi” questo giornaletto arrivato dal nulla in pochi mesi, agli aperitivi fatti salire dal Bosisio undici anni dopo, nulla è cambiato. Siamo sempre stati una squadra, anzi una “pattuglia ristretta” (la proporzione tra noi e la concorrenza: 1 a 6. Eppure quando sganciamo le “bombe”, lasciamo il segno. Quando sbagliamo, chiediamo scusa; e quando trionfiamo, godiamo come ricci): nessuna stella a parte i direttori Brambilla e Gandola o i grandi capi Barbieri e Gandini, tante “teste di birillo”, spirito da dilettanti allo sbaraglio – ma dilettanti con due palle così, dilettanti che si vogliono bene e muoiono uno per l’altro – e il nome della squadra sulla maglia contro solisti con il loro nome sulle spalle. Undici anni di storia contro 128, eppure vi abbiamo fatto incazzare da morire: per questo il primo grazie va alla Prealpina. È stato un onore, da giornalista e direttore della Provincia, avervi come avversari e pensarla diversamente da voi, a dire il vero quasi sempre. Avremo perso qualche amico che non capiva la nostra “diversità”, il nostro bisogno di non essere uguali e di mettere il cappello sulle battaglie che sembravano già perse, ma abbiamo rafforzato il rapporto con tutti gli altri. Quelli per cui La Provincia ha sempre attaccato a testa bassa, si è sempre distinta, non si è mai piegata, ha fatto male (o bene) a molte persone ma comunque ha scritto qualcosa di scomodo, di straordinario od orrendo in un mondo senza pepe né sale, conformista, previsto o prevedibile, quando non addomesticato o comprato dal primo che passa. La Provincia non è mai stata di qualcuno in particolare: a volte di tutti, altre contro tutti. Era ed è La Provincia, punto e basta. Per la bravura, la passione, la fedeltà, il sacrificio, l’identificazione a volte feroce dei collaboratori, dei giornalisti e dei fotografi che ci lavorano, un bagaglio enorme se rapportato ai benefici economici minimi (o dovuti) e alla durezza della prova e della concorrenza. La Provincia è vera, è vita, è un imprevisto di cui non puoi fare a meno. È amicizia, dolore, sofferenza, tradimento, amore, odio, compagno e compagna indimenticabile nel bene e nel male. La Provincia non ha mai fatto prigionieri, e a volte per questo è stata sconfitta, ferita, ma non piegata, né uccisa.
È impossibile accettare di andarsene o essere costretti a farlo da una squadra che è la tua squadra. Togliersi una maglia che non è una maglia ma una pelle, una religione, un motivo di orgoglio. È impossibile pensare che da oggi Federica Artina e Francesco Caielli, due pezzi della tua vita – con tutte le avventure e i contrasti che rappresentano – correranno da soli. Che Simona Carnaghi dovrà bersi in solitudine il suo maledetto Negroni della staffa. Che il Varese non avrà più amici o nemici a tenerlo vivo, ma soltanto bravi giornalisti professionisti. Che Alessandro dei ragazzi del web, uno degli ultimi arrivati (uno dei più bravi) dovrà aspettare chissà quante altre elezioni per dormire di nuovo sul divano della redazione, tra l’aggiornamento di un risultato e l’altro. Che Fabio Gandini e Alberto Coriele (all’inizio non c’erano, ma la forza della Provincia è stata quella di trasferire in tutti quelli che la sfioravano la sua pirateria e la sua “follia”: il suo marchio di fabbrica) dovranno cavarsela con le loro mani di fronte ai “mostri” Andrea Aliverti, Pino Vaccaro e Matteo Fontana. Che Bruno o Sara saranno costretti ad andarsene insieme a te dopo undici anni di guerra, uniti solo dal destino (tutto è scritto). Che Marco Tavazzi sfilerà da solo al Varese Pride. Che Francesco Inguscio e Giovanni Toia rimarranno attorcigliati all’infinito nel gomitolo della Pro Patria. Che Valentina Fumagalli, Valeria Deste, Adriana, Lidia, Laura, Alessandra, Paola, Mariagiulia, Luca, Riccardo combatteranno le battaglie di qualcun altro. Che Sara Salmoiraghi alle sette della sera alzerà la voce, ma non contro di te. Che Enrico Scaringi e Daniele Belosio non potranno mandarti al diavolo perché spediti a fotografare i laghi e le montagne alla stessa ora. Che Gigi Galassi seguirà le orme di Samuele Giardina, completando il suo percorso, ma non lo vedrai. Che Fernando si farà odiare, con la sua beata incoscienza, ma non potrai proteggerlo.
Qualcuno va ma tutti gli altri restano, ed è in loro che lo spirito della Provincia si agita, batte e ribatte come un cuore impazzito. In loro e in voi lettori e amici (Marco, Tiziano, Giancarlo. Attilio, Daniele, Olgher, Davide, Stefano): abbiamo scritto assieme la prima pagina, ma l’ultima è ancora lontana e tocca a voi impedire che venga scritta. Amici e nemici della Provincia, arrivederci: è stato un onore.