«Mi piace mischiare generi e suoni. Offrire a chi ascolta qualcosa di inaspettato»

Raphael Gualazzi sarà a Varese il 9 marzo. «Non ci sono mai stato, sarò felice di conoscerla di più»

Con “Love Life Peace Tour” Raphael Gualazzi arriva a Varese.Il pianista e cantante sarà al teatro Openjobmetis di piazza Repubblica giovedì 9 marzo alle 21, per proporre i nuovi brani dell’ultimo disco di inediti prodotto e arrangiato da Matteo Buzzanca e uscito lo scorso settembre con l’etichetta discografica Sugar Music.

Tornato on stage dopo aver dominato l’airplay radiofonico con “L’Estate di John Wayne”, Gualazzi, ha pensato e arrangiato le musiche dello spettacolo che in tournèe ha già collezionato diversi sold out nei mesi scorsi.

Sarà per la prima volta a Varese, città che non ha visto prima, ma che sarà «felice di visitare e conoscere di più».

Sul palco sarà al pianoforte e tastiere accompagnato da una eccezionale band: sei musicisti, alcuni anche coristi, tutti polistrumentisti con una sezione fiati composta da tromba, sax e trombone ed una sezione ritmica con chitarra, contrabbasso batteria.


Sono stato molto felice di questo riscontro. Non posso prevedere quanto un brano piacerà o meno. È un po’ una scommessa del mio mestiere. Sapevo fosse bello, mi ha divertito registrarlo e mi è piaciuto come gli altri brani dell’album nel quale credo molto.

Molto bene. È una “reprise” di quello invernale che ci ha portato nei principali teatri italiani. Lo spettacolo offre un varietà di brani sia dell’ultimo album rivisitazioni sia della tradizione afroamericana più vecchia e recente

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Stavamo finalizzando album nel periodo dei fatti del Bataclan. Dopo un avvenimento tanto terribile si sentita l’esigenza di accendere i riflettori su temi semplici e fondamentali per quotidianità e per il mondo di oggi.


Nasco come musicista, prima di essere autore anche se ho sempre scritto. Amo la musica in tutte le sue sfaccettature. Così l’esigenza di esprimersi nei colori musica, di una continua ricerca e anche della commistione tra generi e lingue. Credo sia importante, quando si suona, poter offrirne, perché il pubblico si possa divertire e non si annoi mai, perché non sia mai preparato a ricevere ciò che si aspetta. Lo spettacolo è tale quando ci sono sorprese ed è inaspettato.


Amo molto l’italiano, mi piace utilizzarlo in una certa tipologia di brani, quelli con le melodie più larghe, che danno possibilità di esprimerlo al massimo. L’inglese mi piace per il forte pragmatismo. Penso sia adatto alle sincopi e ad altri generi ritmici più veloci. Mi piace usare lingue diverse per ritmi diversi.


Ascolto con piacere dal rock alla classica, ma il jazz per me va oltre la musica, lo dico con le parole di Herbie Hancock all’“International Jazz Day” a Parigi, nel 2012, dove sono stato invitato come unico italiano. È per ciò che rappresenta: la libertà, la dignità e l’umanità che racchiude. Sono valori fondamentali, gli stessi che dovrebbe applicare la società, come fanno i muscicisti sul palco dove si rispettano e creano bellezza.

È stata, dal punto di vista professionale, grande opportunità. Sai di avere una struttura che ti può seguire in un maniera puntuale e precisa, con un piano promozione. Credo sia importante la divisione dei compirti e avere persone preparate che sostengano il tuo progetto. In questo modo ho potuto realizzare piccoli sogni che avevo rispetto al lavoro e spero di continuare a farlo perché è il bello del nostro mestiere.

Musicalmente parlando mi piacerebbe collaborare, creare accordi e realizzare crossover tra musica jazz e pop. Ho collaborato con diverse orchestre e big band. La più bella è stata con la WBR della radio tedesca che ha riarrangiato molti brani di un mio disco e abbiamo suonato a un celebre festival pianistico. Questo genere di collaborazioni sono esperienze bellissime come musicista e autore, perché vedi il potenziale dei tuoi brani aprirsi tantissimo. Mi piacerebbe collaborare di nuovo con grandi enseble.

Sarei molto felice se riuscissimo a raggiungere il primo posto. Ricordo in maniera piacevole l’anno in cui ho partecipato ottenendo una “medaglia d’argento”. Credo che potremmo essere soltanto felici, se riuscissimo a vincere, come fece Cutugno. È stata un’esperienza strepitosa con un’organizzazione stupenda e l’accoglienza di volontari preparatissimi che parlavano 4 o 5 lingue. Per me è stata un’emozione fortissima. Ho suonato davanti a pubblici numerosi, anche di qualche migliaio di persone, ma quella volta c’erano 37.000 persone e 100 milioni di telespettatori in tutti il mondo. La più grande responsabilità che hai come musicista è quella di portare bella musica e credo modestamente di averlo fatto. È un’esperienza che rifarei, se avessi un brano che merita.


È nato dopo la mia permanenza a Londra per tre anni. È stato come se avessi percepito la stupidità dei piccoli problemi dei primo mondo, della quotidianità spicciola, quando ci sono cose ben più serie di cui preoccuparsi. Il brano crea un assurdo. Nella nevrosi della composizione esplode alla fine di ogni strofa, in una frase che crea un’antitesi con la tesi precedente. È un invito ad essere se stessi e a individuare le cose che veramente contano nella vita: amore, famiglia e amicizia.