– Più che il cannone poté il degrado per il campanile di San Vittore, colpito il 31 maggio 1859 dall’artiglieria del barone austriaco Karl von Urban e oggi dall’incuria, nemico peggiore e implacabile.
La torre fu progettata dal “Mancino” Giuseppe Bernascone, attivo soprattutto ai Sacri Monti di Varese e Locarno, con la prima pietra posta il 15 marzo 1617, laddove sorgeva la casa del canonico Zeno, maestro del coro, con i lavori ripresi nel 1688 dopo una lunga sosta.
«I varesini erano talmente entusiasti del loro campanile, e avevano così paura che un incidente qualsiasi ne tardasse il compimento, che per due anni, e poi ancora più tardi, nella seconda e terza ripresa dei lavori, vigilavano essi stessi l’opera», scrivono e in “Varese e la sua provincia”.
Un campanile amatissimo, alto circa 80 metri e terminato nel 1773, cui misero mano ed esperienza anche Giulio e Giuseppe Baroffio, alzando l’aguglia rispetto al progetto bernasconiano, con il materiale occorrente alla costruzione reperito nel raggio di tre chilometri dalla piazza, anche grazie a un enorme masso affiorato in lavori di scavo in piazza della Motta, poi trasportato in San Vittore con un “carro matto” e rotto in ben 14 pezzi.
Danneggiato da un incendio, partito dalla cella campanaria, il 17 maggio 1771, e diverse volte dai fulmini, il 26 maggio 1859 «fece opera di patriottico incitamento» con le sue campane (fuse nel 1751 da Bartolomeo Bozzo da Milano) a stormo, «concitate e incalzanti», prima di ricevere nel lato sud le cannonate di Urban, furibondo per il concerto inneggiante ai garibaldini, di cui porta i segni.