Anni di battaglie con Mauro Milanese in testa al gruppo non tramontano in 25 parole di comunicato. Ci vorrebbe un libro, ma a noi basta meno. Basta il cuore, basta il pensiero, basta il gesto.
Basta raccontare quello che hanno visto ieri i muri di Masnago: un omone alto e buono che entra per l’ultima volta nello stanzone dello spogliatoio dove festeggiò una promozione e i più begli anni del Varese in serie B. Quell’omone è arrivato da solo, quando non c’era ancora nessuno, e ha voluto sedersi al suo vecchio posto da giocatore, «perché questi muri e queste panchine mi mancheranno», prima di uscire in perfetta solitudine per un giro di campo finale (alla Sannino) sotto gli spalti deserti.
Arrivato davanti alla curva Nord, Maurone avrà detto ad alta voce queste parole: «Per questi ragazzi ogni partita del Varese in serie B è come la Champions League». E poi: «Se ti butti nel fuoco per il Varese, alla fine il Varese ti ridà indietro quel fuoco mille volte più alto. Allungagli il cuore, e ti riempirà la vita». «Io non sarò mai un ex perché anche oggi e domani mi sento del Varese». «Puoi girare 15 città e tre continenti come ho fatto io ma avrai sempre la nostalgia di una squadra e di un ambiente che erano una famiglia».
Ne ha commessi di errori, Mauro? Come tutti. Ma sono una virgola nella parentesi biancorossa piena di cose belle che si è appena chiusa. Piena di grandi giocatori, da Rivas a Pavoletti, da Lazaar a Cacciatore, pagati un pugno di mosche e rincorsi solo con quelle gambe lunghe e il fiato immenso che una volta, a Carpenedolo, quando era ancora capitano in C2, lo avevano fatto segnare e vincere da solo una piccola, epica partita. Un muro d’uomo con un scudo fatto di spirito da sembrare un esercito biancorosso.
Ridurre Milanese all’uomo che ha voluto Gautieri è fermarsi a guardare il dito e non la luna che c’è oltre. Noi in lui abbiamo sempre fiutato lo spirito dell’oratorio, l’odore del calcio fatto sui campetti, quando era perfino bello litigare con qualche amico un po’ pestifero che preferiva strafare piuttosto che fare, dire sempre una parola in più invece che una in meno.
Sicuramente in Mauro Milanese abbiamo sempre respirato il Varese, da quando tagliava il salame al bar del Dante insieme a Maran o a quando, di nascosto, ci mandava gli sms dalla villa di Zamparini per dirci che il suo amico Sean stava firmando per il Palermo (l’avesse saputo Sean, gli avrebbe tagliato le dita). Forse ha voluto essere amico di tutti, e tra questi tutti ha trovato anche gli amici sbagliati, magari pure fidandosi: ma alla base c’è sempre stata la generosità e non l’avidità. Il cuore oltre l’ostacolo, una vita che è una passione da bruciare o non è vita, dalla partita più leggendaria di sempre, a Bolzano con l’Alto Adige, alla semifinale col Verona e all’ultima batosta con il Padova. Che forse si ricorderà più di tutte, andandone fiero, perché è nelle sconfitte che lui dà il meglio.
Tre auguri facciamo a Milanese. 1) Di starsene ben lontano dal Franco Ossola per non vedere lo striscione che martedì sera con l’Empoli gli verrà dedicato dalla curva, così da non sentire troppo la malinconia. 2) Di non rimpiangere troppo i dopo partita al Goalasso con il Dante, Giorgio, Mirella, Stefano e Lorenzo: noi li rimpiangiamo più di lui. 3) Di credere ancora in quella vecchia amicizia con Sean, da cui tutto partì: ora non ci sarà più il Varese a dividervi. n
ANDREA CONFALONIERI
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