Certo che sì, Manuel. Come si fa a non darti ragione quando parli di «gruppi di merda, e in questi ultimi mesi ne ho sentiti parecchi…» dopo essere stati ancora una volta al cospetto dei tuoi Afterhours? Non si può. Si può solo levare il cappello, dirsi ancora una volta “per fortuna che ho comprato questo biglietto” e non fare troppo caso al tuo averci ricordato che ora «per un bel po’ di tempo» non ci rivedremo più sotto il vostro palco.
Tre tour in poco più di un anno già non sono roba usuale. Vedere un concerto a marzo e rivederne uno a settembre e assistere a due spettacoli completamente diversi, poi, è fantascienza. Invece no. È After-realtà.
Sono passati trent’anni, sono cambiati i volti, per certi versi è cambiato tutto e per altri non è cambiato un bel niente. Uscire su un palco senza quasi guardare chi si ha davanti, attaccare mentre ancora sta sfumando la musica di sottofondo, con quell’urgenza e quella brutalità. Così bello, così emozionante, così irrinunciabile. Così adatto. Come adatti sono pezzi come “Germi” o “Strategie”, che la loro età non la dimostrano neanche carta d’identità alla mano. Come “Pelle” sarà sempre un dono prezioso in qualunque setlist.
E dopo l’ennesimo viaggio tra distorsioni, litri di sudore, armonizzazioni ipnotiche, tre ore filate di musica allo stato più viscerale, ti chiedi come sia possibile che gli Afterhours suonino al massimo in un Alcatraz, in un festival all’aperto, in un club. Ti chiedi come certi nomi dell’attuale panorama italiano possano riempire il Forum di Assago, o addirittura San Siro, e financo per più date. E pensi che dovrebbero solo presentarsi a un concerto di Agnelli e soci e prendere appunti con carta e penna.
Resta la consolazione che finché ci saranno band come gli Afterhours ci sarà speranza. Speranza di non dover essere paraculi, puliti, educati, pettinati e piacioni per far arrivare la propria verità. La consolazione che un Iggy Pop ce l’abbiamo anche in Italia, e dal palco non elargisce ferite corporee ma vita vissuta e autenticità. E allora sì, Manuel, «facciamoci un giro». Con il violino magico di Rodrigo, lo stile inimitabile di Roberto, quel metronomo iperaffidabile di Fabio, quel servitore riverente della Musica di Stefano, l’iradiddio Xavier, e la tua voce, la tua passione, il tuo tutto.
Rischiaccia al più presto quel pedale con cui hai spento, non solo metaforicamente, il tour celebrativo per i primi 30 anni del gruppo venerdì sera a Fontaneto d’Agogna. Perché i nostri inferni privati hanno bisogno dei loro eroi. Del suo eroe. Nudo. Vivo. Unico.