Abbiamo ancora negli occhi, per la verità un po’ carichi di residui di fatica e di retaggi di notti sacrificate al fuso, e già nel rutilante turn over dei giorni e delle stagioni, ci troviamo a passare dal sogno di Olimpia alla realtà del fine estate. Dall’eterno del fuoco olimpico spentosi da poche ore, all’inizio altrettanto eterno del succedersi delle stagioni. Dalla retorica, spesso snobbata o trattata con sussiego, della universale capacità dello sport di unire storie,
volti, popoli e nazioni, all’apparente quotidiana prosa delle battaglie di campanile. Non nascondiamoci dietro a un dito. Alzi la mano chi, tra gli affezionati lettori de La Provincia di Busto, non si sia sentito investito almeno per un giorno da un inusuale spirito patriottico, chi non abbia palpitato con Federica Pellegrini, austera e degna portabandiera, quando si è fermata a un centesimo dall’ennesimo podio o chi non abbia sentito inumidirsi il globo oculare di fronte alle lacrime di Tania Cagnotto piuttosto che alla fredda ed umana stizza di un Vincenzo Nibali piuttosto che di uno Zar Ivan Zaytsev. Così come chi non abbia almeno per un attimo accompagnato le note del nostro inno, magari sottovoce, portato sul più alto pennone dalle nostre e i nostri ragazzi per ben otto volte. Così pure alzi la mano chi non si sia sentito orgoglioso per il ritorno all’oro di un azzurro del ciclismo piuttosto che delle straordinarie imprese del nostro Volley maschile e del settebello maschile e femminile.
Coraggio: qualcuno dalle pagine di fogli nazionali in queste ore, prima ancora di stendere bilanci, insieme agonistici, economici e sociali, parli di ricreazione finita. Perché, sempre a detta degli opinionisti, con lo scemare del fuoco olimpico di Rio, in curiosa contestualità col ritorno dalle ferie, si esce da una parentesi caratterizzata dall’afflato decoubertiniano, a maggior gloria esibito da un poco credibile fair play cosmopolita, e si entra nella vita vera. E con essa riprende il solito rovello esistenziale in cui il concetto di italianità evapora nel gusto rabbioso del gufare. Perché scemano ginnastica, nuoto, scherma, tiro e ciclismo e torna monopolista il calcio.
Abbiamo ancora negli occhi, per la verità un po’ carichi di residui di fatica e di retaggi di notti sacrificate al fuso, e già nel rutilante turn over dei giorni e delle stagioni, ci troviamo a passare dal sogno di Olimpia alla realtà del fine estate.
Dall’eterno del fuoco olimpico spentosi da poche ore, all’inizio altrettanto eterno del succedersi delle stagioni. Dalla retorica, spesso snobbata o trattata con sussiego, della universale capacità dello sport di unire storie, volti, popoli e nazioni, all’apparente quotidiana prosa delle battaglie di campanile.
Non nascondiamoci dietro a un dito. Alzi la mano chi, tra gli affezionati lettori de La Provincia di Busto, non si sia sentito investito almeno per un giorno da un inusuale spirito patriottico, chi non abbia palpitato con Federica Pellegrini, austera e degna portabandiera, quando si è fermata a un centesimo dall’ennesimo podio o chi non abbia sentito inumidirsi il globo oculare di fronte alle lacrime di Tania Cagnotto piuttosto che alla fredda ed umana stizza di un Vincenzo Nibali piuttosto che di uno Zar Ivan Zaytsev.
Così come chi non abbia almeno per un attimo accompagnato le note del nostro inno, magari sottovoce, portato sul più alto pennone dalle nostre e i nostri ragazzi per ben otto volte.
Così pure alzi la mano chi non si sia sentito orgoglioso per il ritorno all’oro di un azzurro del ciclismo piuttosto che delle straordinarie imprese del nostro Volley maschile e del settebello maschile e femminile.
Coraggio: qualcuno dalle pagine di fogli nazionali in queste ore, prima ancora di stendere bilanci, insieme agonistici, economici e sociali, parli di ricreazione finita. Perché, sempre a detta degli opinionisti, con lo scemare del fuoco olimpico di Rio, in curiosa contestualità col ritorno dalle ferie, si esce da una parentesi caratterizzata dall’afflato decoubertiniano, a maggior gloria esibito da un poco credibile fair play cosmopolita, e si entra nella vita vera. E con essa riprende il solito rovello esistenziale in cui il concetto di italianità evapora nel gusto rabbioso del gufare. Perché scemano ginnastica, nuoto, scherma, tiro e ciclismo e torna monopolista il calcio.
E nel calcio si sa non ci sono buoni sentimenti, gli alleati rimangono nel campo delle ipotesi. Troppi, forse non del tutto a torto, pensano che noi italiani siamo così dentro di noi, salvo alcune brevi parentesi estive, quasi che le olimpiadi siano solo una tregua effimera.
Per tutto il resto dell’anno è una questione di campanile in cui chi è dall’altra parte del fiume è un demente o un farabutto; per tutto il resto dell’anno è una questione politica, in cui quello dell’altra parte o è in malafede o è prezzolato.
Ecco perché noi oggi con la Provincia di Busto torniamo invece a parlare di sport. Uno sport che è insieme apertura e identità. Sogno e realtà. Amore del campanile e solo per celia manifestazione di campanilismo. A Busto sogniamo e pensiamo sia così. E come potrebbe essere diversamente con una squadra di calcio, ma anche di scherma e ginnastica, dal nome Pro Patria et Libertate?
Che finalmente alla tolda di comando ha un’appassionata, onesta e generosa tifosa, oltre che imprenditrice bustocca, dal nome che è insieme una garanzia e un programma: Patrizia (aristocratica) Testa (e cuore).
Così come una splendida realtà pallavolistica più nota ai tifosi come UYBA ma dal nome ambizioso e profetico di Futura?
Sì, torniamo a parlare di società di Busto ma accompagnandole con l’esperienza e l’esempio dei nostri olimpici reduci da Rio che, in questo numero, vogliono simbolicamente significare che lo sport non è mai una parentesi nella vita di un uomo e una donna come nella vita e nella storia di una nazione. Ma anche e soprattutto di una Città. Ecco perché questo numero è un omaggio ai lettori, ai bustocchi, agli sportivi reduci da Rio e aspiranti promesse per Tokio, ma soprattutto al nostro sport e la nostra Città. Città di sportivi e di tifosi. Forza Arianna! Forza Sara! Forza Ludovico! C’è chi in questi giorni ha scritto che gli italiani riservano al tifo tutta la loro fedeltà, tutta la loro incorruttibilità, tutta la loro incrollabile rettitudine. Virtù che chi ha scritto quell’articolo ritiene altrimenti estranee all’ homo italicus. Noi bustocchi lo invitiamo sin d’ora allo Speroni e al Palayamamay. Si scoprirà anche lui a gridare Forza Italia! Ops… Forza Busto!