Ivan Basso è sempre stato un ragazzo riservato, silenzioso. Un atleta che ha fatto della fatica e della dedizione al lavoro il suo vangelo. Sudore, silenzio, fatica. Ivan non può farne a meno. La prima bicicletta gliela regalarono all’età di cinque anni, e fu amore a prima vista. Ivan ci dormiva assieme. Cominciò a correre a sei anni, ed il motore di tutto fu Franco, suo padre, che ha trasmesso ad Ivan la sua mentalità, quella del sacrificio,
del lavoro.
Franco ormai lo conosciamo, gestisce dal 1992 una macelleria a Cassano Magnano, dove Ivan è cresciuto e dove vive tutt’ora. Oltre ad essere una macelleria, però, è un piccolo museo del ciclismo. Perché ti ci perdi dentro, a sbirciare sui muri e tra gli scaffali. Ricordi, emozioni, vittorie. Tutto parla di Ivan, tutto parla di ciclismo. Ci sono le maglie rosa appese, le foto, gli album con tutti i ritagli di giornale, di ogni gara, da quando Ivan era poco più che un bambino. C’è anche una bottiglia di spumante che campeggia all’entrata, ed è un pezzo di storia. Con quella bottiglia Ivan festeggiò lo storico successo sullo Zoncolan. La storia del ciclismo, del nostro ciclismo, è tutta dentro qui. E te la godi in un rispettoso silenzio, quasi da togliersi il cappello.
Ivan si è ritirato da pochi giorni, sotto il bancone c’è La Provincia di Varese di martedì mattina, con il nostro omaggio al campione cassanese. Raccontano che si è fermato a leggerla, assorto, nel pieno della mattina. Perché quando si parla di Ivan, il mondo si ferma, i clienti aspettano.
Negli occhi di papà Franco non c’è tristezza per il ritiro, perché lo sapeva da tempo, da molto prima di noi. E forse anche da molto prima di Ivan stesso, perché come lui lo ha messo in bici, lui stesso ha capito che per suo figlio era tempo di scendere dalla giostra. Un padre lo sa, c’è poco da fare.
E ce lo rivela senza problemi: «Era arrivato il suo momento, e lui lo aveva capito da un pezzo. C’è un momento per tutti in cui è giusto dire basta. E va bene così».
Come suo figlio, Franco è un tipo di poche parole, ma di un’ospitalità commovente. Nel frattempo i clienti entrano, passano. E noi restiamo, e potremmo restare una vita intera, a discutere di ciclismo, delle prime squadre di Ivan, del vino delle coltivazioni di Francesco Moser, di Miro Panizza.
La macelleria è stato un luogo di culto, dove i cassanesi passavano per congratularsi per le vittorie di Ivan, o per sentire una parola di conforto nei momenti più difficili. Perché a casa Basso sono timidi, riservati, ma tosti. A testa bassa, lavorando, hanno sempre risolto tutto. Anche le problematiche più difficili, come la malattia di Ivan.
C’è appena stato il Lombardia, Franco ama il ciclismo ed è andato al traguardo, anche se Ivan non ha corso. E ama il ciclismo perché è consapevole che Ivan continuerà a farne parte. Nemmeno lui sa bene in che ruolo, ma sa che sarà alla Tinkoff. «Non so se farà proprio il direttore sportivo, è presto per dirlo. Certo resterà all’interno della squadra, avrà un ruolo in ammiraglia. Adesso è qui a Cassano, ha un po’ di cose da fare».
Le due ruote sono un affare di famiglia: a Livigno, quando Ivan è risalito in sella, lui c’era e si godeva il nipotino Santiago che sgambettava sulla sua bicicletta. Adesso la carriera di Ivan si è conclusa, perché era giusto che fosse così.
Perché in fin dei conti, «solo Rebellin va avanti fino a 44 anni». Alla fine della chiacchierata, usciamo con le mani piene. Una bottiglia di bianco di Moser, yogurt del Trentino, una mozzarella. Sono passati tanti anni, sono stati pedalati tanti chilometri di storia, appesa su queste mura. In silenzio, qui si sono festeggiare i successi e leccate le ferite. Qui Ivan aiutava suo padre quando era un ragazzino.
Gli piaceva, imparava in fretta, perché si faticava. Ora è tempo di voltare pagina. E’ stato bello, e lo sarà ancora di più.