«Questa è un’opportunità per ripartire: con idee chiare, persone giuste. E serietà».
Senza alcuna pretesa di avere la verità in mano, Andrea Azzalin ci offre il suo parere sull’eliminazione dell’Italia dai Mondiali 2018.
Un parere autorevole, visto che il 32enne preparatore atletico varesino vive da un lustro i massimi livelli del calcio, ha esperienze nelle selezioni nazionali (una positiva, l’Under 21 vice-campione d’Europa nel 2013; una negativa, la squadra maggiore greca nel 2014) ed è un professionista stimato in Italia e all’estero; un parere sincero e schietto, che fotografa lo stato attuale del movimento italiano ma, quel che più conta, guarda subito al futuro.
«Sono ovviamente dispiaciuto: da italiano non posso che essere tifoso della Nazionale. Purtroppo, dopo la partita d’andata, non credevo che l’Italia potesse passare: difficile trovare un ribaltone a livello mentale dopo una partita così negativa sotto tutti i punti di vista come quella in Svezia».
A San Siro l’Italia però ci ha provato: «Sì: tante occasioni non sfruttate, un po’ di sfortuna, il salvataggio di Granqvist su Immobile… Nel complesso però, è giusto che la Svezia vada ai Mondiali: l’Italia è più forte? Certo. Ma il calcio è cambiato: la tecnica e la qualità fanno la differenza solo a parità di motivazioni, intensità, volontà. La Svezia ha molte meno armi: ma ci ha creduto di più».
Nel mirino di tanti (o tutti) c’è il commissario tecnico Gian Piero Ventura: scelta sbagliata? «Non ho il diritto di dire se fosse o meno fuori luogo. Di certo non può reggere un paragone con Carlo Ancelotti o con Antonio Conte, che ha avuto gli stessi giocatori ma ha raggiunto risultati diversi. Attenzione però: fare il ct è difficile. C’è poco tempo per lavorare, i giocatori non arrivano sempre al 100%. E devi vincere, soprattutto in Italia dove c’è una pressione enorme. Il selezionatore deve saper fare scelte difficili: in Nazionale servono i giocatori migliori ma a patto che siano al meglio».
Il profilo giusto per la Nazionale, secondo Azzalin, «è un allenatore di esperienza e soprattutto carisma. Un leader dentro e fuori dal campo, capace di trascinare tutto il gruppo delle Nazionali, dalle Under alla Maggiore; che abbia un’idea chiara, forte e la porti avanti».
Ma il primo passo da compiere è una presa di coscienza: «Lo sport insegna che quando un avversario fa meglio di te, bisogna riconoscere la sconfitta – continua il campione d’Inghilterra 2016 con il Leicester – Speriamo lo si faccia ai piani alti: lì bisogna capire dove siamo a livello calcistico. L’Italia non va ai Mondiali: ma cosa ha fatto per andarci? Cosa ha costruito in questi anni? Su chi e cosa ha investito? Bisogna farsi delle domande; ma soprattutto, con umiltà, darsi delle risposte. Purtroppo, questa è stata una fine annunciata. Ma ciò che è più importante, è che questa è una grande opportunità per ripartire».
Il futuro va deciso, programmato e perseguito da chi sta in cima: «Il sistema calcio italiano non può più pensare che bastino le pezze per fare un vestito – prosegue “il professore”, oggi al Nantes con Claudio Ranieri, quinti in Ligue 1 – Un esempio: conosco bene il Varese e tutti sanno cosa significhi per me; ma mi chiedo: come può essere una “Scuola Calcio d’Elite” senza avere strutture? Cosa intende la Federazione per “Scuola Calcio d’Elite”?
Sinceramente, non lo capisco. All’estero i settori giovanili hanno strutture dedicate, allenatori a tempo pieno; c’è rispetto per la professione. Su questo, l’Italia è lontana anni luce: per strutture, appunto; e per investimenti e seguente qualità. Chi comanda, deve mettere in atto delle strategie per colmare un gap che è sempre più evidente. Se il bene comune è il movimento calcio, le soluzioni sono lì davanti agli occhi. Se invece ci sono da salvaguardare interessi dei singoli allora il discorso è ben diverso. E non porta da nessuna parte».