Ce lo sentivamo un mese e mezzo fa, dopo la sconfitta con il Bari, quando non ci credeva ancora nessuno e lo sparammo in un titolo che ha portato pure un po’ sfiga: «Questo Varese retrocede». È come vivere per dieci anni accanto alla stessa persona: un giorno ti alzi, la guardi e capisci che è finita. Fu la prima delle sette sconfitte consecutive ma dentro il gruppo la morte dei sentimenti e della speranza, come il senso d’abbandono, stava scavando un solco incolmabile.
Ce lo sentiamo ora, quando non ci crede quasi più nessuno, tranne i pochissimi che devono e possono farlo: «Questo Varese non retrocede». Vediamo uno spiraglio e un omino (omone) biancorosso avanzare nelle tenebre, tra la cenere di un incendio che ha bruciato tutto tranne un piccolo fiore. I tifosi che scattavano come belve ferite da un’uscita all’altra della tribuna per impedire ai giocatori di tornare a casa,
non prima di un ultimo insulto liberatorio contro chi sta portando via la loro vita, dieci anni di sofferenze e sacrifici (il Varese per loro e per noi è vita, non un hobby o un banale lavoro). Non abbiamo mai visto retrocedere un pubblico così, decisivo come mai (9.500 spettatori in due partite, più 500 a Cittadella). Crediamo in Stefano Bettinelli perché, con lui, tornano in panchina dieci anni di deliri biancorossi, dalla Berretti di De Luca-Beretta (la sua Eccellenza) alla Primavera di Forte, passando per Sannino, Verderame e Sogliano. Crediamo nel destino, che passa sempre da Novara: basta una partita per cancellare un’annata vergognosa. Non crediamo più nei calciatori ma crediamo negli uomini Pavoletti, Zecchin, Corti, Neto e Forte (l’ultimo errore della società è stato quello di scaricare tutte le colpe su di loro davanti ai tifosi, invece di difenderli pubblicamente, mettendoci la faccia, e poi appenderli al muro in spogliatoio). Crediamo nell’ultimo respiro dell’ultima battaglia. Ma soprattutto crediamo in un atto supremo, dovuto e necessario per fare piazza pulita di risultati e scelte fallimentari: le dimissioni di Enzo Montemurro e delle persone da lui sostenute nei posti di potere in società. È rimasto da solo sulle sue macerie. Spostandosi, permetterà a un fiore di rinascere.
Andrea Confalonieri
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