«L’Italia sotto la guida geniale di Mussolini che ne riplasma l’anima e l’organizzazione sociale e l’economia è oggi il paese di Europa dove con maggiore tranquillità si può guardare il futuro».
Si esprimeva cosi Giuseppe Toeplitz invitato nel giugno del 1928 alla cena di gala offerta dai banchieri di Wall Street, desiderosi di fare affari con il nostro paese. Convinto sostenitore del primato culturale ed economico dell’italianità. Proprio lui, nato a Varsavia il 13 novembre 1866 da una famiglia dell’alta borghesia, studi classici in Lituania e di ingegneria a Gard, che diviene cittadino italiano solo dal 1895, è stato un potente banchiere che ha indissolubilmente legato il suo destino al destino dell’Italia di inizio Novecento, intrecciandosi strettamente con i più importanti avvenimenti della nostra storia di quegli anni: dalla costruzione dell’industria siderurgica alla campagna massiccia di elettrificazione, dalla Prima Guerra Mondiale all’avvento del fascismo fino al declino provocato dallo tsunami della crisi americana degli anni 30 (quell’America che solo due anni prima era carica di denaro da investire oltre i confini federali).
Avviato all’apprendistato a Genova presso la Banca Generale, conquistò in meno di vent’anni i vertici della Banca Commerciale Italiana, fondata per ironia della sorte con capitale proveniente anche dalla finanza ebraica-tedesca nel 1894 con la guida di Otto Joel, diventando Amministratore delegato nel 1917. Grazie a una ferrea predisposizione caratteriale alla tenacia e al perfezionismo e un’eccellente preparazione tecnica. Il tutto condito da una buona dose di spregiudicatezza che gli costò l’ accusa davanti all’Alta
Corte di Giustizia del Senato per avere comprato con denaro proveniente dalle casse della banca (la storia sembra scritta ieri) per un importo di cinquecento milioni di lire 480.000 azioni allo scopo di riunire nelle sue mani il dominio dell’istituto. Accusa dalla quale venne definitivamente scagionato nel 1923, dopo quasi due anni di udienze e istruttorie, per non aver commesso reato di rilevanza penale. Il suo regno terminerà poco dopo il 1930 quando Mussolini, con Beneduce e Mattioli, con una decisione che trasformerà profondamente l’idea primitiva alla base della nascita della banca, separa la funzione vera e propria della Banca da quella di istituto per lo sviluppo industriale, dando vita a quello che poi diventerà l’ IRI.
Ma se a condurlo nell’alta finanza nazionale era stata una ambiziosa e ben calcolata strategia, a Varese arrivò verosimilmente seguendo la moda della ricca borghesia milanese che aveva scelto da sempre l’incantevole provincia dei laghi per la propria villeggiatura.
Poco prima della guerra acquista da Eugen Hannesen, rappresentante in Italia della Mannesmann, una modesta proprietà con l’idea di realizzare un buen retiro per trascorrere il tempo libero.
Fra il 1924 e il 1925 affida l’ampliamento e la completa ristrutturazione della villa all’architetto Armando Brasini, uno dei più grandi progettisti e artisti del Novecento italiano dapprima molto apprezzato da Mussolini e dal movimento sponsorizzato da Margherita Sarfatti e poi purtroppo esiliato in disgrazia. Il risultato è una dimora concepita allo scopo di contemplare il paesaggio e la natura, grazie alla suggestiva terrazza panoramica e alla specula che caratterizza la torretta, fortemente connotata dalle visioni alchemiche e dallo stile del suo progettista.
E la componente naturale è l’altro grande protagonista della villa. Toeplitz chiamò nel 1927 a realizzare l’architettura del giardino che occupa la collina per circa sette ettari lo studio parigino Collin e Adam, paesaggisti, che interpretarono le suggestioni della moglie del banchiere, Edwige, che durante uno dei frequenti viaggi restò letteralmente incantata dagli splendidi giardini dell’Imperatore Babar in Mongolia. Diedero vita a un parco scenografico, arricchito da gradinate e fontane, scalinate e giochi d’acqua di grande suggestione, impreziosito da un patrimonio arboreo notevole e talvolta raro. Un luogo che rivela tutto il desiderio di carisma e opulenza ma anche una attenzione al dettaglio passionale e misurata. La villa e il suo parco, assorbiti dal 1972 dal Comune di Varese, oggi ospitano uffici e un centro di ricerche dell’università dell’Insubria e il Museo etnografico dei fratelli castiglioni.