Accoglienza diffusa in piccole comunità: a Busto Arsizio c’è anche il “modello” Casa Onesimo. «È il modello migliore. Ma, rispettando le richieste della Prefettura, non genera margini di guadagno». A rivelarlo è Oliviero Motta, consigliere della Cooperativa Sociale Onlus “Intrecci”, nata nel 2003 nell’ambito della Fondazione Caritas Ambrosiana e radicatasi nelle comunità locali della zona pastorale di Rho, a cui fa capo anche il Decanato di Busto Arsizio. È proprio Intrecci che da più di un anno si è
presa in carico la gestione dell’accoglienza di venti richiedenti asilo all’interno della comunità di Casa Onesimo, una struttura di housing sociale sorta nel 2005 in via Lega Lombarda, a fianco del Pime, per occuparsi di rifugiati ma anche di detenuti che usufruiscono di pene alternative al carcere. Meno visibile del centro di via dei Mille, raramente fa discutere in città: un modello di accoglienza che funziona. «Noi ci occupiamo di accoglienza da ormai 15 anni – ammette Oliviero Motta – seguiamo l’impostazione che fa parte del nostro Dna e, come tutti dovrebbero fare per quel che riguarda i profughi, seguiamo i paletti posti dalle istituzioni». Il consigliere di Intrecci fa riferimento all’elenco dei servizi obbligatori richiesti dalla Prefettura nei bandi per la gestione dell’accoglienza: vitto (rispettoso dei principi e delle abitudini alimentari) e alloggio; gestione amministrativa degli ospiti; assistenza generica alla persona compresa la mediazione linguistica, l’informazione, primo orientamento ed assistenza alla formalizzazione della richiesta di protezione internazionale ; servizio di pulizia; fornitura di biancheria e abbigliamento adeguato alla stagione; prodotti per l’igiene personale; pocket money pro capite di 2,50 euro al giorno, una tessera ricarica telefonica di 15 euro all’ingresso. «Non c’è nulla da inventarsi: si tratta di seguire le indicazioni e accumulare un’esperienza in fatto di relazioni con le persone – aggiunge Motta – la nostra esperienza nasce soprattutto dagli Sprar (Servizio di Protezione dei Richiedenti Asilo e dei Rifugiati), che sono più organizzati e rendicontati, mentre quella dei centri di accoglienza straordinaria è meno formalizzata. Nel limite del possibile, adottiamo il modello organizzato sulla base dei requisiti dello Sprar, che è il nostro punto di riferimento». Centri di dimensioni contenute, una ventina di ospiti: «Nel limite del possibile, quello è il modello migliore, come abbiamo realizzato a Casa Onesimo, anche se in altre realtà la comunità ecclesiastica a cui facciamo riferimento ci ha chiesto di organizzare centri di dimensioni maggiori – spiega Oliviero Motta – poi si tratta di dotare le strutture di accoglienza di un numero sufficiente di operatori. Se si fa quel che è dovuto, non c’è lucro». Insomma, i 35 euro sarebbero tutto sommato una cifra equa: «Dipende dai casi. Ma noi costruiamo modelli in cui ci sia equilibrio e sostenibilità, nel complesso tra i centri più grandi e quelli più piccoli. In situazioni come Casa Onesimo, con 20-25 persone, margini non ce ne sono. È il modello della cooperazione sociale, che non è puro volontariato ma crea opportunità di lavoro sulla base di una sostenibilità economica delle iniziative che vengono realizzate».