Pochi giorni fa all’Università Liuc di Castellanza si è tenuta una tavola rotonda sui profili giuridici della sharing economy. Oggi torniamo sul tema per capire meglio il perché del successo e il futuro di questa nuova forma di economia della condivisione.
Prima di tutto, di cosa stiamo parlando? Airbnb, Uber, BlaBlaCar o le italiane Gnammo e ClubSharing sono soltanto dei nomi che però inquadrano perfettamente il fenomeno. Per sharing economy si intende la condivisione di beni e servizi della più varia natura – dagli appartamenti, ai mezzi di trasporto, denaro, capi di abbigliamento, tempo libero, capacità, tempo – tra privati, senza l’intervento dei tradizionali intermediari ma avvalendosi unicamente di piattaforme telematiche.
«L’Università Liuc dedica da sempre un’attenzione speciale allo studio delle nuove realtà imprenditoriali – spiega , Ordinario di Diritto Tributario della Liuc – nella convinzione che l’innovazione comporta la necessità di ripensare l’esistente. La sharing economy è una delle forze motrici del cambiamento in atto. Solo dieci anni fa Airbnb e Uber non esistevano, eppure sono già parte della nostra quotidianità. Capirne la fenomenologia è il primo passo per riscrivere assieme le regole del gioco. La normativa fiscale non è certo un’eccezione».
In dieci anni queste piattaforme hanno fatto passi da gigante e oggi ci troviamo di fronte «a una forma di economia nuova – spiega , dottorando alla Liuc – che però ha dei punti di contatto con le forme di economia più tradizionali». Ma cosa ha favorito la rapida crescita della sharing economy? «Prima di tutto l’ampia diffusione delle tecnologie digitali e dei device mobili – racconta Beretta – dagli smatphone, all’accesso a internet alla diffusione delle app che consentono un accesso istantaneo ai servizi richiesti, ma anche, dall’altra parte, la possibilità di dare a una pluralità di soggetti un modo nuovo per offrire un servizio in maniera immediata».
Sicuramente poi un cambio nel profilo sociale e sociologico delle persone «legato alla crescente voglia di partecipazione. I social media in questo fanno la loro parte».
Infine, a creare le condizioni ideali per queste forme di business, è stato anche un fattore economico: «Con l’avvento della crisi in questi ultimi dieci anni il mondo si è scoperto vulnerabile. Molte persone si sono travate a dover cercare un sostegno alternativo al proprio reddito e la sharing economy si presta molto bene a questo, dando la possibilità di condivisione di un bene, un servizio, una propria capacità».
Ed è la fiducia la chiave del successo che oggi porta avanti queste piattaforme: «La fiducia gioca un ruolo di primo piano – sottolinea Beretta – siamo di fronte ad una società evoluta in cui la fiducia è la prima moneta». E in futuro? «Potenzialmente la sharing economy è applicabile a tutto. Un campo che vedo ben proiettato in questa direzione è quello della ristorazione».
Certo, affinchè le economie più tradizionali e la sharing economy possano convivere «fondamentale sarà garantire un campo di gioco leale per tutti, con regole giuridiche studiate e coordinate a seconda degli operatori, professionali o occasionali, e dei contesti nei quali si troveranno ad operare».