Questo è un editoriale meditato, su una notizia fatta decantare qualche ora, perché su certe cose bisogna evitare di scrivere di pancia. Il generale Mladic è stato condannato all’ergastolo, e forse un po’ tutti ci stiamo illudendo di aver tirato una riga sulla pagina più terribile che il dopoguerra abbia raccontato. Il suo nome tornava sempre, in ogni racconto in quelle serate a Sarajevo: il nome di un assassino spietato che dalle pendici del monte Trebevic per quattro anni ha martellato la città a colpi di granata. Ho imparato a odiarlo mentre imparavo ad amare Sarajevo e per anni ho aspettato che la giustizia, quella terrena, facesse il suo corso.
Eppure non c’è leggerezza, ora. Perché odiare Mladic significava e significa odiare anche un po’ noi stessi. Odiare l’impotenza di un’Europa che non volle e non seppe fare nulla, odiare i caschi blu dell’Onu che si fecero da parte mentre Mladic e le sue truppe entravano a Srebrenica, odiare gli ufficiali della Nato che con Mladic brindavano a bicchieri colmi di rakija mentre i suoi cecchini ammazzavano donne e bambini per le vie di Sarajevo, odiare gli altri macellai che come Mladic in quegli anni si sono sporcati di sangue e ora girano liberi. Mladic marcirà in galera, il nostro senso di colpa non morirà mai.